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Gli antichi Greci raccontavano che il sovrano dei loro dèi, Zeus, dalla vetta del monte Ida, il più alto dell’isola di Creta, aveva scorto una bellissima ragazza, che sulle rive della terra dei Fenici, più o meno l’attuale Palestina, passeggiava raccogliendo fiori. Invaghitosene, si era trasformato in toro, le si era avvicinato, l’aveva fatta salire sulla sua groppa e l’aveva ‘rapita’ dall’Asia, portandola con sé a Creta. La fanciulla si chiamava Europa, e avrebbe generato a Zeus tre figli maschi, Minosse, Radamanti e Sarpedonte, che sarebbero stati i fondatori della civiltà cretese, la prima grande civiltà di quel continente che, appunto da lei, avrebbe preso il nome di Europa.

Nella trasfigurazione del racconto, che i Greci chiamavano μῦθος, e noi da loro “mito”, sembrano straordinariamente presenti le tracce dell’antichissimo evento che ha visto la prima presenza dell’uomo nel continente che oggi definiamo Europa: le tracce di una migrazione, dall’Asia verso occidente.

Nei territori europei che si affacciano sul Mediterraneo, in effetti, i più antichi resti della specie umana risalgono a circa un milione di anni fa. In Italia, in particolare, i ritrovamenti di Apricena (Foggia) e di Monte Poggiolo (Forlì) hanno portato alla luce tracce di insediamenti umani e manufatti di pietra databili tra un milione e 800mila anni fa; a Ceprano (Frosinone) un cranio umano di 500mila anni fa; a Visogliano (Trieste) e a Venosa (Potenza) reperti risalenti a 400-300mila anni fa. Nella penisola greca, parallelamente, sempre tra 500 e 300mila anni fa, è attestata la presenza dell’uomo nelle grotte di Petralona, vicino a Salonicco. Fin da un milione di anni fa, dunque, l’uomo si era stabilito nei due territori che avrebbero segnato il destino del continente nei suoi primi duemila anni di civiltà: l’Italia e la Grecia. Si trattava tuttavia, già allora, di una storia molto lunga: un cammino di migliaia di chilometri e di milioni di anni.

La specie umana, in effetti, era stata tra le ultime a comparire, su un pianeta terra ben più antico. Se la formazione del nostro pianeta, infatti, pare risalire a cinque miliardi di anni fa, le prime forme di quella che possiamo chiamare ‘vita’ datano a 3,8 miliardi di anni fa: si trattava di organismi originariamente monocellulari, e in seguito pluricellulari, che, prima nell’acqua e poi, lentamente, sulla terra, a partire da mezzo miliardo di anni fa si erano sviluppati, in uno scenario completamente diverso da quello degli attuali continenti. Per centinaia di milioni di anni, la terra era stata popolata solo da creature marine, legate al principio essenziale della vita, l’acqua. Quindi si erano sviluppati gli anfibi, poi i rettili. Questi ultimi, nelle più diverse forme di dinosauri che i fossili ci aiutano a ricostruire, avevano dominato il pianeta per decine di milioni di anni. Finalmente, ‘appena’ 300 milioni di anni fa, erano comparsi i primi mammiferi, e tra questi, 60 milioni di anni fa, i primi esemplari di primati, o proto-scimmie. Vivevano sugli alberi, erano erbivori, e usavano tutti gli arti per muoversi. Intorno a 10-8 milioni di anni fa, però, il riscaldamento del pianeta nella fascia equatoriale-australe dell’Africa, tra gli attuali stati del Congo, del Kenya e dell’Etiopia, aveva provocato un cambiamento dell’ambiente naturale: le foreste erano divenute savane, molti alberi erano scomparsi, e una nuova specie di primati, che riusciva ad alzarsi su due piedi, guardare meglio al di sopra della bassa vegetazione, e difendersi dai predatori, si era sempre più affermata rispetto ai suoi simili, che avevano intrapreso un’altra linea evolutiva. È a questa specie che i paleontologi danno il nome di ominidi. Ma altri tre o quattro milioni di anni sarebbero dovuti ancora passare per arrivare al primo esemplare – a noi noto – per il quale possiamo parlare di vero e proprio ‘antenato’ dell’uomo. Sempre in Africa, nelle zone centro-meridionali, sono stati rinvenuti i fossili dei cosiddetti australopitechi, “scimmie del sud”, databili a circa quattro milioni di anni fa. Per due milioni di anni questa specie di ominidi si era diffusa, stando a quel che possiamo ricostruire, in diverse zone del continente africano: camminavano ormai stabilmente su due piedi, conoscevano forme di vita associata, ma probabilmente si rifugiavano ancora sugli alberi; la loro scatola cranica era meno di un terzo della nostra. A questa specie appartiene il famoso scheletro fossilizzato di Lucy, vissuta  3,2 milioni di anni fa, così chiamata dai suoi scopritori, nel 1974, in omaggio a una canzone dei Beatles. Intorno a due milioni e mezzo di anni fa, sempre nell’Africa centro-orientale, per ragioni ambientali che ancora ci sfuggono, o forse solo per caso, era comparso un altro anello fondamentale della nostra linea evolutiva, il primo che gli studiosi definiscono con il termine homo. La novità genetica che aveva determinato l’affermazione di questa nuova specie era nella diversa conformazione delle mani: il pollice poteva opporsi alle altre quattro dita, consentendo una manualità superiore a quella dei predecessori. Anche il volume del cervello era maggiore: la metà del nostro. Queste novità biologiche non avevano tardato a dare i loro frutti. All’età di questo nuovo homo, oltre i due milioni di anni fa, datano i primi manufatti di cui abbiamo traccia: pietre scheggiate in diverse forme, come punte e come ‘macine’; sassi disposti in linee che probabilmente erano funzionali a realizzare ripari. Era nato quello che viene definito homo habilis: aveva iniziato a cibarsi di carne e a vivere stabilmente in gruppi. Poco dopo i due milioni di anni fa un nuovo troncone evolutivo si staccò dall’homo habilis: per la capacità di realizzare manufatti elaborati, gli studiosi lo hanno definito homo ergaster, cioè “laborioso”. Intorno ad un milione e mezzo di anni fa, ancora in Africa, un’altra linea evolutiva vide la luce: per la conformazione delle gambe e degli arti superiori, ormai non più impiegati come sostegni, è definito homo erectus. Ma le novità di questa nuova specie erano state molte altre. Nei siti dove sono stati rinvenuti i suoi fossili, vi sono le prime tracce di focolari: l’homo erectus aveva addomesticato il fuoco. Con esso aveva imparato a cuocere gli alimenti, soprattutto le carni, eliminando batteri e agenti patogeni, e conseguentemente evitando numerose malattie. La sua vita media si era allungata, e anche la sua prolificità. Era stato sicuramente per questo motivo, come ci insegna la comparazione antropologica, che già prima di un milione di anni fa la specie umana, in cerca di cibo e di terre, aveva intrapreso una prima migrazione epocale, che i paleontologi chiamano Out of Africa: a circa un milione di anni fa, infatti, datano i più antichi fossili umani fuori dell’Africa: in Asia, in India, in Cina, in Indonesia e anche in Europa. L’homo erectus aveva camminato per migliaia di chilometri, e stava colonizzando tutto il pianeta.

È proprio alla specie erectus di homo che risalgono, dunque, i primi colonizzatori dell’Europa meridionale, della Grecia e dell’Italia: avevano attraversato l’Africa settentrionale, erano passati in Medioriente, e di qui, tra la penisola anatolica e il Caucaso, avevano varcato i Balcani ed erano scesi, probabilmente lungo la costa, in Grecia e sul versante adriatico dell’Italia. Soprattutto le caverne e i ripari naturali divennero i luoghi nei quali i gruppi di erectus si insediarono, in modo stabile, a volte per migliaia e migliaia di anni. Certamente dovettero sviluppare anche una forma di comunicazione, nonché di organizzazione ‘sociale’.

La specie erectus si sarebbe perpetuata fino ad almeno 100mila anni fa, ma, nel frattempo, altre novità genetiche avevano riguardato individui che avevano dato vita ad altri tronconi di homo. È questa una storia ancora tutta da scrivere, perché i ritrovamenti sono sempre più frequenti, e sempre più si delinea una vicenda genetica dell’umanità che non è la linea diretta e semplice che gli studiosi avevano pensato di poter tracciare fino a qualche decennio fa. Le possibilità di ‘incroci’ tra i diversi sottotipi di homo, del resto, e la limitatezza delle nostre testimonianze, rendono assai problematica una ricostruzione del primo ‘albero genealogico’ della nostra specie. Una specie diffusa sia in Europa sia in Africa è quella definita homo Heidelbergensis, dalla città di Heidelberg, ove avvenne il primo ritrovamento: a questa specie appartengono anche i più antichi fossili italiani. Fin dal 1856, inoltre, erano stati scoperti, nella vallata tedesca del fiume Neander, resti di una linea evolutiva ancora in parte diversa: l’homo di Neandertal. Altre tracce di questo tipo di homo furono poi scoperte in Francia, nella penisola iberica e in tutta Europa, fino al medioriente: datano a circa 300mila anni fa. Aveva una corporatura robusta, statura medio-bassa, ma una capacità cranica quasi pari alla nostra. Forse anche per le caratteristiche climatiche dei luoghi di ritrovamento, si copriva di pelli, impiegava ormai il fuoco in modo sapiente, e realizzava veri e propri utensili come asce, coltelli, e altro. Sembra, dalla posizione di alcuni fossili, che avesse iniziato a dare sepoltura compiuta ai defunti: forse, dunque, aveva già sviluppato un senso religioso. Al contempo, i molti crani fracassati o segnati da colpi (non dovuti ad animali) fanno pensare che, sempre intorno a questo periodo, tra i 250 e i 150 mila anni fa, la specie homo avesse iniziato anche a manifestare il suo aspetto più violento, cioè la guerra o la lotta per la sopravvivenza con i propri simili.

Mentre i discendenti dei primi colonizzatori dell’Europa, erectus, Heidelbergensis e Neandertal, continuano a popolare il continente, in Africa si sviluppa l’ultima linea evolutiva di cui siamo i diretti eredi. Intorno a 200mila anni fa data infatti una nuova specie, che presenta di fatto le nostre caratteristiche. Proprio per distinguerlo da tutti i predecessori, e forse con un po’ di presunzione, i primi scopritori lo definirono homo sapiens. Certamente, questa specie raggiunse presto livelli molto evoluti di tecnologia e di vita associata, come risulta da tutto quel che si può dedurre dai siti di ritrovamento. Ma l’elemento di maggiore importanza che rese questa nuova specie protagonista del futuro del pianeta fu la capacità, in meno di 100mila anni, di colonizzare interi continenti, e adattarsi ad ogni ambiente naturale, dando vita a tutte le diverse etnie che ancora oggi popolano il pianeta. Etnie caratterizzate da elementi anatomici, fisiognomici, e soprattutto culturali ben diversi, ma tutte discendenti, in ultima analisi, da un’unica matrice genetica: un unico individuo di sapiens che si differenziò per un fortuito caso genetico dai suoi genitori, e che, presentando caratteristiche evolutive ‘vincenti’, affermò, nel corso di migliaia di anni, il suo patrimonio genetico su tutti gli altri. Come dimostra la genetica, e la genetica storica, la differenziazione del genoma di un individuo dipende, per circa l’85%, dalla variabilità interna alla sua ‘storia familiare’, e solo per un 15% dalla variabilità originaria ‘di gruppo’, cioè da quelle che è corretto definire etnie, dal greco ethnos, “popolo”. È ovviamente a questa percentuale che dobbiamo riportare le caratteristiche peculiari dei tanti popoli della terra, a cominciare dalla statura, dal colore della pelle, degli occhi o dei capelli. Questi elementi, tuttavia, pur essendo molto appariscenti, e a un primo sguardo così evidenti, non costituiscono che una percentuale minima, e solo anatomica, nella differenza tra miliardi di persone: ben altra e profonda è la percentuale che differenzia gli individui, a prescindere dalla loro etnia. Il concetto di ‘razza’, dunque, non solo non esiste, né ha legittimità scientifica, ma va rifiutato per il profondo significato negativo che, storicamente e tragicamente, ha portato con sé nella storia degli uomini.

L’homo sapiens, dunque, in un’altra epocale migrazione che gli studiosi definiscono Out of Africa II, arrivò ben presto in Asia, e di lì sia in Cina sia in India e in Oceania; intorno a 100mila anni fa lo troviamo già in Europa, praticamente in ogni territorio; dall’estremo lembo orientale dell’Asia, infine, circa 15mila anni fa, approfittando dell’ultimo abbassamento di clima che aveva provocato l’estensione dei ghiacciai, e l’unione temporanea di Asia e America del Nord, attraversò lo stretto di Bering e colonizzò, da nord a sud, il continente americano, ricongiungendosi, forse, dopo 5-7mila anni, con i suoi lontanissimi antenati che avevano raggiunto il sud America via mare, dall’Oceania. Un’avventura straordinaria, questa della migrazione del sapiens, che poche migliaia di uomini compirono in una natura ancora avversa e pericolosissima, mossi certamente dal bisogno di cibo e dal clima, ma anche da un innegabile, nuovo, elemento che differenziava questa specie da molte altre specie animali: il desiderio di muoversi, un senso innato di ricerca e di curiosità, che sarebbe stata la molla fondamentale dello sviluppo dell’homo sapiens.

Intorno a 100mila anni fa, la specie sapiens giunse, appunto, anche in Europa. Qui avvenne il primo ‘incontro’ tra diverse etnie, come potremmo definirlo in termini moderni, perché i nuovi colonizzatori trovarono gli insediamenti dei Neandertal, che nell’aspetto erano da loro ben diversi. I due tipi di homo convissero a lungo, certamente anche con incroci genetici – un capitolo ancora tutto da studiare – ma forse, soprattutto, con scontri violenti. Di fatto, intorno a 40-30mila anni fa, il Neandertal si estinse, e il sapiens divenne l’unico abitatore dell’Europa.

L’homo, si è detto, manifestava una radicale differenza rispetto a tutte le altre specie animali nella capacità di realizzare oggetti. Proprio sulla base del materiale impiegato dall’uomo per costruire oggetti gli studiosi hanno individuato dei periodi di questa lunghissima età prima di quella che chiamiamo ‘storia’: l’età, appunto, ‘preistorica’. Il primo materiale impiegato fu, ovviamente, il legno: ma nulla ci è rimasto di quanto i più antichi uomini realizzarono con esso. La prima ‘età’ che possiamo ricostruire, disponendo dei primi oggetti realizzati dall’uomo, è quella ‘della pietra’. I paleontologi la dividono in tre periodi, che prendono nome dal greco lithos, “pietra”: paleolitico (“della pietra antica”), dai primissimi reperti (oltre due milioni di anni fa) a circa 12mila anni fa; mesolitico (“della pietra di mezzo”), fino a 10mila anni fa circa; infine neolitico (“della nuova pietra”), fino a 3mila anni prima di Cristo.

In Italia, e nella Grecia continentale, numerosi ritrovamenti testimoniano un diffuso popolamento per tutto il paleolitico, come si è visto: proprio gli ‘oggetti’ in pietra rinvenuti nei diversi siti, a volte in migliaia di esemplari, testimoniano attività intensissime di produzione: dei veri e propri laboratori/industrie di punte, schegge, macine, e altro ancora. Si può parlare, per alcune aree geografiche, di vere e proprie ‘culture’ o ‘civiltà’ preistoriche, caratterizzate da elementi comuni, e perduranti nel tempo (anche per diverse migliaia di anni), nelle forme degli oggetti e nelle strutture dei siti. Dai 15mila anni fa, inoltre, abbiamo testimoniate, in Italia, le prime ‘statuette’ di pietra che raffigurano corpi umani, soprattutto femminili, in forme esuberanti (le cosiddette “Veneri”) che certamente simboleggiano fertilità e buon augurio, nonché i primi graffiti rupestri che rappresentano figure geometriche ma anche animali e uomini: si tratta delle prime manifestazioni che possiamo chiamare artistiche, e forse anche religiose.

Intorno ai 12mila anni fa si verifica l’ultimo periodo di abbassamento notevole del clima sul pianeta: l’ultima ‘glaciazione’. I mari si ritirano, le terre emergono: l’Adriatico si ritira fino al Gargano, ad esempio, e molte isole (tra cui l’Elba e la Sicilia) sono raggiungibili via terra. Anche le risorse alimentari, però, diminuiscono: è questo un nuovo periodo di grandi spostamenti umani, e di nuovi stimoli legati al bisogno.

Al periodo successivo, infatti, il mesolitico, risalgono le prime tracce di nuovi manufatti, come l’arco, e i primi reperti di ossa animali vicine ad ossa umane: si tratta di scheletri di cani, il primo animale addomesticato dall’uomo.

Intorno agli 8mila anni fa gli studiosi pongono l’inizio dell’ultimo periodo della preistoria, il neolitico. È da questo millennio che in diverse aree del pianeta avviene un passaggio epocale: osservando il ciclo della riproduzione naturale, l’uomo impara ad addomesticare e selezionare le specie vegetali di cui può cibarsi, e le specie animali più mansuete di cui può servirsi. Nascono l’agricoltura e l’allevamento, quasi contemporaneamente, e indipendentemente, in Medioriente, in Egitto, in Cina, in India, in America centrale e meridionale, soprattutto in territori pianeggianti e in presenza di fiumi. Sarà proprio da questa grande svolta – che ancora oggi chiamiamo “rivoluzione del neolitico” – che prenderanno l’avvio altre importantissime ‘svolte’: l’abbandono progressivo del nomadismo, la concentrazione in agglomerati urbani e la nascita di vere e proprie ‘società’ organizzate, la divisione del lavoro, la politica. Tutti elementi che ormai caratterizzeranno quella che chiamiamo “storia”.

Questa rivoluzione e i successivi sviluppi, però, non riguardano, almeno per i millenni iniziali, l’Italia e la Grecia, e l’Europa tutta. Qui, infatti, le culture paleolitiche resteranno legate almeno fino al VII-VI millennio a.C. ancora alla caccia, alla raccolta, e alle prime forme di pastorizia (capre e pecore). Mentre in Medioriente si costruivano le prime città di alcune migliaia di abitanti, dunque, nell’Europa mediterranea aggregazioni umane ben meno numerose erano ancora concentrate in grotte o ripari naturali, o in villaggi che possiamo solo immaginare. Solo in età relativamente ‘tarda’, dopo il III millennio a.C., alcuni popoli discendenti da questi antichissimi abitatori del continente lasciarono tracce concrete di una propria cultura: le etnie basche e iberiche, nell’attuale Spagna; gli Ugro-finnici, nella Scandinavia; i Sicani e gli Elimi in Sicilia; i Sardi in Sardegna. Una sola etnia diede vita ad una civiltà paragonabile a quelle del Medioriente: i Cretesi, appunto il popolo di Minosse.

Tuttavia, un’altra ondata migratoria di proporzioni rilevanti, proveniente dalle regioni tra il Medioriente e il Caucaso, e originata proprio dagli enormi sviluppi scaturiti dalla ‘rivoluzione agricola’, stava nel frattempo per giungere in Grecia e in Italia, determinando una svolta decisiva per il futuro.

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