Materiale:

  • video
  • testo
  • cartina

La trasformazione più grande nel passaggio dal periodo acheo a quella che definiamo ‘età arcaica’ è sicuramente il grande sviluppo economico e commerciale dei Greci. 

La popolazione iniziò a crescere in modo esponenziale, e la terra, nelle isole e nei territori montuosi e brulli della penisola greca, scarseggiava. I Greci chiamavano questa situazione στενοχωρία, “povertà della terra”. Da moltissime zone, proprio dall’VIII sec. a.C., gruppi di cittadini decisero di mettere in pratica quanto i miti e le tradizioni orali di generazioni e generazioni avevano loro raccontato: partire, viaggiare per mare e andare a cercare nuovi territori lontano da casa: ἀπὸ οἰκίας. Nascevano le ἀποικίαι, “colonie”. O meglio, rinascevano, perché, come si è detto, fin dal XIV sec. a.C. i Greci si erano spostati dal continente, attraverso le isole, fino a giungere alle coste della penisola anatolica, per fondare città. Questa volta, però, la nuova ‘colonizzazione’ ha un aspetto e un impatto diversi. 

Progettate e organizzate con cura, le colonie divengono innanzi tutto uno straordinario esempio della propensione dei Greci alla creazione di nuove forme politiche, nonché della loro profonda capacità di riflessione sugli aspetti costituzionali e civili della vita associata. Progettare una colonia significa coinvolgere una parte notevole di popolazione, a volte persino gli schiavi, che nel ‘nuovo mondo’ possono sperare in un futuro migliore. Architetti che progettino la pianta della città, maestranze e manovali che realizzino le opere pubbliche e private, legislatori e politici di professione che costituiscano la futura classe di governo della nuova realtà cittadina, e poi artigiani e commercianti, agricoltori e marinai: nella grande impresa della fondazione di una colonia c’è bisogno di tutti.

Una volta scelto con cura il sito per l’edificazione della nuova città, la colonia diviene un vero e proprio ‘pezzo di Grecia’ in terra straniera. La città da cui si parte sarà per sempre la μητρόπολις, “città madre”, che conserverà con la colonia un rapporto strettissimo di collaborazione e di mutuo soccorso. Le feste e i riti della città madre si trasferiscono tali e quali nella colonia. Gli equilibri sociali, tuttavia, sono diversi: nella colonia, infatti, per certi versi si riparte tutti dalle stesse condizioni: uguali diritti e doveri, medesime parti di terra in proprietà. Sarà l’abilità e l’intraprendenza personale a decidere le sorti di ognuno: spesso si cambierà costituzione politica per far fronte alla richiesta di giustizia e equilibrio, a volte si ricorrerà alla figura di una ‘guida’, un cittadino che per doti riconosciute ma anche per spregiudicatezza riuscirà a farsi capo del governo e dell’esercito, instaurando un potere per molti aspetti personale ma proficuo di sviluppi economici e civili per tutti.

Se alla fine del secondo millennio a.C. la colonizzazione dei Micenei si era mossa soprattutto in direzione delle coste egee dell’Asia Minore e non aveva avuto carattere sistematico e istituzionale, il grande spostamento di uomini che si verifica tra VIII e VII secolo a.C. riguarda la parte occidentale del Mediterraneo, in particolare l’Italia meridionale. Una dopo l’altra, in poco più di un secolo, assistiamo alla nascita e allo sviluppo fiorente di decine di colonie. Il solo elenco di quelle più importanti si rivela impressionante e incalzante: nel 770 Pitecusa (Ischia); nel 750 Cuma; nel 734 Siracusa; nel 730 Zancle (Messina) e Reggio; nel 728 Leontini e Catania; nel 727 Mègara Iblea; nel 709 Sibari; nel 708 Crotone; nel 706 Taranto; nel 688 Gela; nel 673 Locri; nel 650 Ipponion (Vibo Valentia); nel 649 Imera; nel 627 Selinunte; nel 600 Posidonia; nel 598 Camarina; nel 580 Agrigento; nel 535 Elea. 

Quando i primi Greci arrivano sulle coste dell’attuale Basilicata, scoprono una terra fertile e ricca di acqua, abbondante di grano e di vino. La chiamano Enótria, “terra del vino”, ma collegano il nome anche all’eroe Enotrio figlio del greco Licàone re dell’Arcadia, segnando così una continuità fra i leggendari personaggi del mito greco e le nuove genti colonizzatrici.

Su queste coste del golfo ionico e oltre, tra Taranto e Reggio, si concentrerà la migrazione delle genti di stirpe dorica e achea, provenienti dal Peloponneso e dalle regioni centro-occidentali della Grecia. È in questi luoghi, dove per posizione favorevole e per capacità militari nei confronti delle popolazioni indigene le città greche riescono a dar vita a un territorio quasi unitario e culturalmente omogeneo, che nasce il concetto di Μεγάλη Ἑλλᾶς, cioè di “Grande Grecia”, (“Magna” dal latino magna), idea che nel VI sec. a.C. si rafforza per mezzo di Pitagora, filosofo al governo di Crotone. Il concetto di Magna Grecia, benché originariamente nato per designare il territorio delle colonie achee-doriche del golfo di Taranto, si estende già in età antica a indicare tutto il mondo greco dell’Italia meridionale, compresa la Sicilia. 

La civiltà della Magna Grecia e della Sicilia antiche sarà caratterizzata da intensi sviluppi culturali: la nascita di un pensiero laico e i primi filosofi razionalisti, ma anche figure leggendarie permeate di misticismo, scienziati capaci di invenzioni spettacolari e al contempo cerimonie misteriche di religiosità orfica, autori che fonderanno l’arte della retorica e poeti di mimi dissacranti. Ripercorrere le tappe di un immaginario viaggio lungo le città dell’Italia greca significa mettere in evidenza la comune cultura di allora, ma anche le non poche differenze tra le diverse colonie, che rimasero sempre orgogliose della propria indipendenza.

I primi Greci a sbarcare sulle coste tirreniche dell’Italia vengono dalla grande isola di fronte ad Atene, l’Eubea, e si fermano su un’altra isola, Ischia. 

La chiamano Pithekússa, “isola delle scimmie”, e di lì iniziano a colonizzare la costa tra le attuali Napoli a Salerno. Siamo all’inizio dell’VIII sec. a.C. Proprio ad Ischia è stata rinvenuta una delle più antiche testimonianze della scrittura greca: la coppa di Nestore, un largo recipiente da vino con iscritti versi gustosi sul tema dell’amore e del vino. Altrettanto famosa e importante è la scuola filosofica che nascerà ad Elea, l’attuale Velia, ad opera di una delle personalità più enigmatiche della cultura greca tardoarcaica: Parmenide (V sec. a.C.). Aristocratico legislatore e scienziato, autore di numerosissimi libri in prosa e in versi, Parmenide sarà considerato l’‘inventore’ della logica, cioè di un metodo di affrontare i problemi basato sul rigore della ragione. La colonia greca che ancora oggi non cessa di stupire i visitatori di tutto il mondo, con l’imponenza dei suoi templi, è Paestum, l’antica Posidonia, “la città di Nettuno”, fondata dei coloni della Sibari ionica intorno al 600 a.C.

Un proverbio greco suona: “essere più sano di uno di Crotone”. La città, colonia achea, è infatti famosa, nell’antichità, per la salubrità del clima che rende i suoi abitanti i più robusti della Grecia. Crotoniati saranno gli atleti di cui si ricorderanno le imprese più spettacolari, in ogni disciplina ginnica, come il leggendario Milone. Poche rovine sono oggi ancora visibili della città che probabilmente si estendeva persino oltre l’attuale abitato. Crotone avrà il suo periodo di splendore nel VI sec. a.C., quando alla sua guida sarà chiamato il filosofo Pitagora, esule dall’isola greca di Samo, che fonderà una scuola di grande prestigio ispirata a profondi ideali morali e culturali, legando per sempre il suo nome alla città italica. Il grande tempio dedicato ad Era, di cui oggi è possibile vedere solo alcune rovine, diverrà la sede di una confederazione di città achee della Magna Grecia che costituirà un punto di riferimento culturale e politico guardato con ammirazione anche dai Greci del continente.

Durante la guerra combattuta dagli Spartani contro i Messeni le donne spartane, stanche dei lunghi anni di assedio e preoccupate per l’assenza di figli, decidono col consenso dei mariti di far unire tutte le vergini della città ai ragazzi rimasti in patria: da quelle unioni nasce una generazione di Spartani che, in seguito, poiché illegittima, viene allontanata dalla città e inviata a fondare in Italia una colonia, l’unica spartana. Taranto, che prende il nome dal vicino torrente Taras, diviene in poco tempo la più potente colonia greca del golfo e di tutto lo Ionio. Il regime aristocratico con cui è governata riproduce per certi aspetti la società spartana, immobile e dedita soprattutto all’attività militare. Dopo il 470 a.C., con l’avvento di un regime democratico, la città inizierà ad assumere un ruolo culturale importantissimo per tutto il Mediterraneo occidentale: Taranto diverrà innanzi tutto il più importante centro di produzione delle straordinarie ceramiche dipinte a due colori (rosso e nero), che raggiungono tutti gli angoli del mondo allora conosciuto. Dalla metà del IV secolo a.C., sotto il governo del filosofo e matematico Archita, la città attirerà artisti e letterati, e diverrà un frenetico centro di vita culturale: nascerà il modo di dire “fare il Tarantino”, cioè darsi a una vita di piaceri e di prelibatezze. Originari della città saranno numerosi personaggi: il filosofo Aristosseno, studioso di musica e di matematica; il poeta di epigrammi Leonida, che ritrae personaggi umili e momenti di vita quotidiana, spesso con riflessioni esistenziali; l’autore di mimi e di teatro Rintone, che tratta in modo burlesco gli argomenti del mito. Da Taranto, conquistata nel 272 a.C., arriverà a Roma un giovane letterato, Livio Andronico, che tradurrà l’Odissea di Omero nella lingua dei Romani, dando origine alla tradizione della letteratura latina.

Al contrario di quanto avviene per la costa ionica del Golfo di Taranto, colonizzata soprattutto dagli Achei e dai Dori, la Sicilia diviene la mèta privilegiata delle genti eoliche e ioniche. La più antica e più famosa colonia della Sicilia è tuttavia di origine dorica. Archia, governante di Corinto, la città dell’Istmo, è inviato nel 733 a.C., esule, a fondare una città in occidente e sceglie, su invito dell’oracolo di Delfi, la ricchezza perpetua come dono per sé e per la città da fondare. Verso l’estremità della costa orientale i coloni notano un isolotto (Ortigia), con una fonte di acqua dolce (Aretusa), vicinissimo alla terraferma, pianeggiante a sud e riparata da colline e cave di marmo a nord (le famose latomie). Il luogo è strategicamente ideale. Nasce così Siracusa, che in breve tempo diviene la più potente città greca d’occidente, adornata di splendidi monumenti ed opere d’arte, centro di una vita culturale intensa e patria di artisti e scienziati famosissimi. Questa straordinaria ascesa politica e culturale sarà legata soprattutto al succedersi dei tiranni, grandi personalità politiche capaci di assicurare il dominio della città sull’isola, di sviluppare la crescita economica, e di operare come mecenati per l’arte e la letteratura. La prima famiglia che riuscirà a farsi padrona della città, nel 485 a.C., sarà quella degli Emmenidi, provenienti da Gela: Gelone, il fratello maggiore, assumerà la carica di tiranno e getterà le basi per la sicurezza politica e militare di Siracusa vincendo in una battaglia navale, a Imera, i Cartaginesi. Sarà però con suo fratello Ierone (478-466 a.C.) che Siracusa vivrà il suo più felice momento di splendore e di prestigio internazionale: la città si ricoprirà di monumenti e di tesori; alla corte del tiranno verranno chiamati artisti e letterati da ogni parte della Grecia. Simonide, Pindaro e Bacchilide, spesso in una entusiasmante gara di emulazione fra loro, canteranno le imprese delle scuderie del tiranno che riporta anno dopo anno splendide vittorie negli agoni sportivi più famosi della Grecia: i loro canti, commissionati da Ierone in persona, verranno eseguiti da cori di giovani in magnifiche feste offerte dal tiranno, e il nome di Ierone risuonerà in ogni parte del mondo ellenizzato. Per la fondazione di Etnea (l’attuale Enna), luogo tra l’altro assai suggestivo e carico di mistero perché vi si diceva scomparsa Persefone rapita da Ade, Ierone chiamerà in Sicilia addirittura Eschilo, il grande tragediografo ateniese, che farà rappresentare un dramma in onore del tiranno e della nuova città.

Anche Agrigento, colonizzata da Gela nel 580 a.C., vanterà una tradizione di tiranni non meno prestigiosa di quella siracusana, a cominciare dal leggendario Falaride, noto per la sua crudeltà e spregiudicatezza, fino a Terone, che nella prima metà del V sec. a.C. attirerà a corte artisti e poeti che celebreranno le imprese sportive delle sue squadre equestri: Pindaro e Bacchilide, ancora una volta, si alterneranno nella composizione di elogi ed epiníci (“canti per la vittoria”), e Terone gareggerà con Gelone e Ierone nell’allestimento di ricchissime cerimonie festose. La città si riempirà di monumenti e nella collina che sovrasta Agrigento sorgeranno uno dopo l’altro i numerosi templi che ancora oggi costituiscono uno dei più straordinari e spettacolari tesori della civiltà greca d’occidente. Negli stessi anni ad Agrigento sarà attivo Empedocle, una figura singolare di filosofo e scienziato, uomo politico e poeta: dai frammenti delle sue opere emerge una visione del mondo animata dalla fede nel progresso e nella teoria della reincarnazione delle anime in diversi esseri viventi (“metempsicosi”). La Magna Grecia, sotto tutti gli aspetti, tra l’VIII e il VII sec., era davvero una Grecia più grande della Grecia stessa.

Subscribe
Notify of
guest
0 Comments
Inline Feedbacks
View all comments