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Già dall’VIII secolo a.C., e poi ancor più con l’espandersi delle genti elleniche nel Mediterraneo occidentale, si manifesta quella che sarà una delle caratteristiche di tutta la storia greca, fino al III secolo a.C.

La Grecia, infatti, non fu mai politicamente unita e autonoma, sia per le difficoltà dovute alle divisioni fra le stirpi greche, sia per la natura geografica del territorio. Questa situazione favorì lo sviluppo di piccoli stati indipendenti, che spesso coincidevano con una singola città. Ma il concentrarsi di poche migliaia di cittadini sui problemi dell’organizzazione della società fece nascere nei Greci un interesse per la politica senza pari non solo nel mondo antico ma, probabilmente, anche moderno. I Greci si fecero ‘ingegneri’ della politica: presero coscienza chiara dei meccanismi che regolano i rapporti fra le classi economiche, sociali e culturali di una comunità; teorizzarono e sperimentarono numerose forme di governo; si scontrarono, spesso aspramente, per far prevalere le idee in cui credevano. La Grecia divenne ben presto, in sostanza, un laboratorio della politica senza pari al mondo, in nessun’altra civiltà di nessun’altra epoca.

La maggior parte dei termini politici che usiamo ancora oggi, nonché i tipi di costituzione e di governo attuali, in tutto il mondo, derivano dalle ‘invenzioni’ politiche dei Greci. Pensiamo a due concetti per noi basilari: l’uguaglianza di tutti di fronte alla legge (ἰσονομία) e la libertà di parola (παρρησία). Questi ideali furono teorizzati e messi in pratica dai Greci già nel V sec. a.C., pur con profonde e dolorosissime differenze rispetto a oggi, soprattutto l’esclusione delle donne e degli schiavi. Pensiamo ancora alle tre fondamentali forme di governo ancora oggi in uso, di cui i Greci misero in luce pregi e difetti: la monarchia (ovvero “potere di uno solo”), la oligarchia (“il potere di pochi”) e la democrazia (“potere del popolo”), un termine, quest’ultimo, diverso dai precedenti, su cui torneremo.

Le contrapposizioni ideali che animarono la politica dei Greci hanno rappresentato ancora in età moderna i poli dello scontro fra ideologie, fra stati, fra civiltà. Per esempio le categorie contrapposte della libertà individuale e del bene della collettività. Per esempio la questione se sia più opportuno affidare il governo a pochi, selezionati in base alle capacità e alla saggezza, o a tutti, indifferentemente. O ancora il problema se sia giusto imporre la democrazia con la forza. Questi temi e queste riflessioni costituirono per i Greci antichi  il ‘pane quotidiano’ di molti loro discorsi e ragionamenti, e per molti aspetti è ancora oggi così, anche per noi. Del resto, lo stesso termine politica è greco: πολιτική significa “ciò che riguarda la città”, e ci riporta alla sua antica origine.

Le primissime forme di governo che troviamo attestate fin dall’VIII sec. a.C. sono monarchie, regni legati a dinastie che vantano nel mito i propri antenati, anche per legittimare il potere. Questi regni, βασίλειαι, sono guidati da un re, βασιλεύς, e continuano una forma politica che conosciamo fin da Omero e che è sicuramente una delle più antiche di ogni civiltà. Regni sono presenti, soprattutto, nel mondo acheo, come in Grecia occidentale, ma anche nel mondo eolico, in particolare in Tessaglia. Proprio la Tessaglia è una delle pochissime realtà politiche greche di una certa estensione territoriale: abbraccia più città e un territorio paragonabile ad una attuale regione italiana di piccole proporzioni. Nessun’altra realtà raggiunge queste proporzioni. 

In alcuni regni, ci rendiamo conto dalle testimonianze epigrafiche e dai racconti degli storici, i βασιλεῖς cominciano ad essere affiancati da un ‘consiglio’ di nobili o personaggi influenti del territorio. Sono, essenzialmente, grandi proprietari terrieri e allevatori, che rappresentano la più importante forza economica e militare. Sono quegli ἄριστοι che possono dedicarsi all’atletismo e alla cultura artistica e musicale, possono investire parte del patrimonio nel mantenimento di cavalli e di tenute: tutto ciò che non può permettersi chi deve lavorare per guadagnarsi da vivere. L’ἀρετή dunque, al di là delle esaltazioni ideali che ne fanno i poeti del tempo (come Pindaro o Teognide), è qualcosa che distingue e contraddistingue le classi che detengono il potere. Il termine “aristocrazia”, tuttavia, è più recente, e appartiene ad un’altra stagione politica. In età arcaica, i pochi che esercitano il potere, prima accanto al βασιλεύς, si definiscono i suoi “amici” o “consiglieri” o i “nobili”, o anche semplicemente i “cittadini” di questa o quella città. 

Queste forme di governo, che possiamo definire “oligarchie”, con un termine tecnico moderno, che non appartiene anch’esso ufficialmente alla civiltà greca, si emancipano via via dal potere di un sovrano, spesso attraverso lotte sanguinose. Accade soprattutto in realtà di media estensione, che si organizzano in federazioni di piccole città, fornendosi aiuto reciproco, non senza puntuali litigi, tuttavia. 

I Greci chiamano queste federazioni di città in due modi: ἔθνη e κοινά.  Ἔθνος è il termine con cui un greco definisce la propria appartenenza ad un ‘popolo’, cioè ad una realtà comune di miti e culti, forme sociali e tradizioni, dialetto, moneta, organizzazione militare e cultura. Unioni di ἔθνη, che possiamo definire in termini moderni ‘piccoli stati nazionali’, si realizzano soprattutto nelle zone montuose della Grecia centrale e settentrionale, dove meno sviluppati sono i commerci, meno consistenti gli spostamenti di persone e le migrazioni, e più forti i legami di vicinanza: per esempio in Arcadia, in Epiro, o in Etolia. 

Diversa, ma sempre basata su una comunanza di stirpe, fu l’organizzazione di altre aree della Grecia in κοινά, letteralmente “comunità”, che potremmo definire “stati federali”, sempre di media grandezza. Anche questi κοινά sono governati dagli ἀριστοί, rappresentanti di ognuna delle realtà cittadine, anche piccolissime, che formano la confederazione: prendono decisioni comuni, e spesso celebrano feste comuni legate a figure mitiche considerate antenati della comune stirpe. È il caso della confederazione beotica, o di alcuni gruppi di isole. 

Se già con queste tre tipologie, βασιλεῖα, ἔθνος, κοινόν, abbiamo toccato con mano la complessità delle realtà politiche greche, è nelle singole πόλεις che si scatenò, fin dall’VIII sec. a.C., la passione dei Greci per l’ideazione di forme di governo: una vera e propria mania. Non vi è forse, nel mondo greco arcaico, nemmeno una πόλις che presenti il medesimo regime politico di un’altra. Le tradizioni locali, l’equilibrio da raggiungere nella società, le differenti esigenze legate al territorio, ma anche una certa propensione ‘campanilistica’ a trovare una forma che fosse almeno in qualche aspetto diversa da quella dei propri vicini, spinsero ogni comunità cittadina a ideare sistemi assai differenti gli uni dagli altri. Solo per convenzione, dunque, e per comodità, parliamo (nei manuali) di forme più o meno ‘oligarchiche’ e più o meno ‘democratiche’: la realtà, per i documenti storici che abbiamo, è ben più complessa.  

Nella stragrande maggioranza delle πόλεις era prevista una assemblea permanente di figure riconosciute a livello economico, sociale e culturale: definito con vari nomi, era questo ‘consiglio’, spesso non eletto, a volte ereditario, a costituire il vero centro di potere della πόλις. Accanto a questo consiglio, che raccoglie al massimo due o tre centinaia di persone, vi è, in moltissime πόλεις, un gruppo più ristretto di potere, soprattutto a livello operativo e rappresentativo: sono le figure che partecipano alle ambascerie, guidano le processioni, fanno i portavoce della πόλις in occasioni ufficiali. Quasi mai più di venti o trenta, sono a volte, ma non sempre, votati dal consiglio. In poche πόλεις, ma solo dal VI secolo a.C., cominciamo ad aver notizia di assemblee più ampie, però saltuarie, a volte solo annuali, che raggruppano i maschi adulti e che prendono, a maggioranza, decisioni significative, per esempio la pace o la guerra, ma anche l’assegnazione di privilegi a cittadini benemeriti o la costruzione di templi. Non possiamo chiamarle democrazie, ma il concetto di poter partecipare ad una decisione nasce, probabilmente, per la prima volta proprio in questo momento.   

Un’ultima forma di potere, tutta particolare, è costituita da un’esperienza che presenta tratti comuni con la monarchia, ma non è sancita dalla tradizione di una dinastia. Si tratta di quello che i Greci chiamano, con un termine orientale, τύραννος, “tiranno”.  Nelle città in cui lo scontro politico e sociale tra fazioni diviene scontro armato, spesso un cittadino, che capeggia un gruppo ben definito, prende il potere con la forza, si crea delle “guardie del corpo” e attua delle riforme economiche che cercano di andare incontro alle esigenze, spesso, dei nuovi ceti di commercianti e artigiani, ma anche di piccoli e medi contadini, ai danni dei grandi proprietari terrieri. È un fenomeno molto importante proprio tra VII e VI secolo a.C., che contribuisce allo sviluppo economico del mondo greco, nonché ad una crescita culturale. Il tiranno infatti ha bisogno di alimentare quella che si chiama ‘politica del consenso’, per comunicare a tutti che il suo potere è amministrato per il bene della città. Dunque fa giungere nella πόλις artisti e poeti, scultori e costruttori che la abbelliscono e cercano di diffondere una sorta di mito del buon amministratore. A volte un tiranno rimane in carica anche per oltre venti anni, altre volte è spodestato (e spesso ucciso) dopo pochi giorni. Di molti tiranni, dalle città siciliane alle isole di fronte all’Asia minore, sentiremo parlare in tutta la storia greca. 

Per ragioni storiche e culturali, in questo variegato quadro delle realtà politiche della Grecia arcaica, due città svilupparono sistemi politici che divennero, nel bene e nel male, modelli a lungo andare seguiti, amati e odiati. Due città che meritano uno spazio specifico:  Atene e Sparta. 

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