Le città greche della costa dell’Anatolia erano, da sempre, tra le più fiorenti del Mediterraneo. Pitane, Cuma, Aigai, Temno, di stirpe eolica, al nord, di fronte all’isola di Lemno;  Focea, Smirne, Chio, Clazomene, Teo, Colofone, Efeso, Priene, Mileto e Midno, di stirpre ionica, al centro, davanti l’isola di Samo; Alicarnasso, Cnido, e le isole di Cos e Rodi, di stirpe dorica, a sud: erano quasi tutte fondazioni che risalivano al secondo millennio a.C., centri di grandissima importanza commerciale e punti di riferimento culturali. In queste città si era sviluppata la poesia epica e lirica: da Cuma eolica proveniva Esiodo, cantore degli dèi e degli eroi, e del ciclo agricolo dell’anno; da Colofone uno dei più grandi poeti d’amore dell’età arcaica, Mimnermo; da Teo Anacreonte, anche lui poeta d’amore frequentatore della corte di Pisistrato. Nelle città soprattutto ioniche stava nascendo, proprio in quel secolo, la ‘filosofia’, la riflessione sull’uomo e sulla realtà che abbandonava l’interpretazione del mito e si fondava sull’osservazione e sul logos, “la ragione”: da Samo proveniva Pitagora, poi emigrato in Magna Grecia; da Mileto Talete e Anassimandro; da Efeso, Eraclito. Come la filosofia, anche la scienza razionale, affrancatasi dalla magia e dalla religione, stava muovendo i primi passi in quell’area culturale greca: sempre Talete aveva sviluppato la matematica e l’astronomia, Anassimandro ed Ecateo la geografia; nelle città doriche tra Cos e Cnido anche la medicina razionale stava sbocciando. Da Alicarnasso, infine, proveniva, come si è detto, Erodoto.

Le città greche d’Asia avevano da sempre dovuto fare i conti con le popolazioni locali, soprattutto dell’interno, quelle anatoliche e quelle provenienti dalle regioni siro-palestinesi. Scontri e vere e proprie guerre erano stati frequenti, ma alla fine le comunità greche avevano sempre (o quasi) avuto la meglio. Avevano avuto anche buoni rapporti con alcuni regni locali: per esempio con il re della Lidia Creso, che alla sua corte aveva chiamato poeti e saggi di origine greca. Da alcuni decenni, tuttavia, come si è visto, nei lontani territori della Mesopotamia era accaduto qualcosa che avrebbe cambiato le sorti anche di quel difficile equilibrio in Asia Minore. I sovrani achemenidi dei Persiani si erano avvicinati sempre di più alle città greche della penisola anatolica. Il successore di Cambise, Dario I, al potere dal 522, era venuto per la prima volta a stretto contatto con il mondo greco. Aveva stabilito a Sardi, lontano dalla costa anatolica, ma ad essa collegata da un fiume navigabile e strategicamente al centro della penisola, la capitale della satrapía, e ne aveva fatto l’avamposto per l’Occidente. Di qui, il generale e satrapo di Dario, Megabàzo, raggiunse la Tracia, varcando per la prima volta i confini naturali tra Asia e Europa, e arrivò ad imporre un tributo anche al regno greco di Macedonia. I Persiani, diffidenti nei confronti dei diversi sistemi politici greci, che ai loro occhi apparivano strani e insicuri, preferivano favorire, nelle città tributarie, l’instaurazione di regimi tirannici. Così avevano fatto anche a Mileto, appoggiando un carismatico capo aristocratico, Istièo. Nel 515, con l’aiuto di truppe inviate da Dario I, Istièo si impadronisce del potere a Mileto. Governa con saggezza e intraprendenza, e collabora con Dario alla conquista persiana dell’Ellesponto tracio. Dopo una decina di anni, Istièo chiede a Dario di poter assumere il potere in un’altra città, sulle coste del Chersoneso tracio, nell’Egeo settentrionale. Dario lo accontenta e Istièo lascia la tirannide di Mileto al nipote, figlio adottivo, Aristàgora. Ma, ancora dopo pochi anni, Dario chiama Istièo nella lontanissima capitale dell’impero persiano, Susa, oltre Babilonia: vuole averlo come consigliere, esperto del mondo greco, per maggiori imprese che si accinge a compiere. 

A Mileto, intanto, Aristàgora gode di ottima fortuna e prosperità. Nel 499 a.C. si rivolgono a lui alcuni aristocratici dell’isola di Nasso, esiliati dal nuovo governo democratico: lo invitano a dargli tutto l’appoggio possibile per ritornare al potere. Aristàgora convince il satrapo Artaferne a intraprendere, in suo aiuto, una spedizione contro l’isola. Artaferne scorge la possibilità di espandere il controllo persiano anche sulle isole dell’Egeo, e accetta. Ma la spedizione fallisce, i Nassii riescono a sconfiggere la flotta persiana. Artaferne, allora, vuole punire Aristàgora per averlo trascinato in un’avventura rovinosa. Chiede a Dario di poter marciare contro Mileto e rovesciare la tirannide di Aristàgora. Istièo, però, che è al corrente di tutto, teme per la sorte di suo figlio. Non può avvertirlo direttamente, ed escogita uno stratagemma tutto particolare. Fa rasare la testa ad un suo fedele messaggero e vi fa tatuare l’avvertimento per Aristàgora, con il suggerimento di muovere per primo alla rivolta. Dopo un mese, mentre Artaferne prepara la spedizione, quando i capelli del messaggero sono ricresciuti, Istièo lo invia da Aristàgora, con il solo ordine di farsi radere di nuovo il capo, una volta giunto a Mileto. Così avviene: Aristàgora legge il messaggio e comprende quel che sta per accadere. Raduna tutti i nobili di Mileto ed espone loro il piano per sollevarsi contro i Persiani. L’anziano Ecateo, storico e geografo, interviene contro il parere di Aristàgora: srotola davanti a tutti una grande cartina del mondo allora conosciuto, che egli stesso ha realizzato durante i suoi viaggi, ed enumera, uno per uno, tutti i popoli sottomessi ai Persiani, le immense ricchezze e le migliaia di uomini su cui può contare Dario. Prevale, però, il parere di Aristàgora. Costui, allora, come sottolinea Erodoto, “fingendo di rinunziare alla tirannide, istituì a Mileto l’ἰσονομία (uguaglianza di diritti), per fare in modo che tutti i Milesii partecipassero più volentieri alla rivolta”; quindi, con l’appoggio del δῆμος, scacciò gli altri tiranni delle città della costa, li imprigionò o li consegnò al popolo. Nel breve giro di pochi mesi, nuovi regimi democratici o più latamente oligarchici sorsero in tutte le città, alcuni tiranni furono uccisi, altri esiliati. 

All’inizio del 498 a.C. Aristàgora si recò quindi nella Grecia continentale, per chiedere aiuto a Sparta,  ad Atene, e ad altre città considerate ‘madrepatria’ delle πόλεις asiatiche. 

Giunse dapprima a Sparta e incontrò il re Cleomene. Gli chiese alleanza, per sconfiggere i barbari “in nome della Grecia”; gli prospettò tutte le ricchezze e le terre di cui si sarebbe potuto impossessare. Cleomene prese tre giorni di tempo per riflettere. Poi, convocato Aristàgora, gli chiese quanto fosse distante la Persia. Appena udita la risposta di Aristàgora, che aveva quantificato il viaggio in tre mesi circa, Cleomene affermò che mai nessuno avrebbe potuto trascinare gli Spartani a tre mesi di cammino lontano dalla patria. E congedò il milesio.

Aristàgora si recò dunque ad Atene. Fu ammesso a parlare di fronte all’ἐκκλησία, e fece leva sulla comunanza di sangue tra attici e ioni. L’assemblea votò a favore dell’intervento e venti navi furono inviate a Mileto, al comando dell’ateniese Melanzio. Da Eretria si aggiunsero altre cinque navi.

All’inizio dell’estate del 498 a.C. la flotta greca si radunò davanti ad Efeso. Qui sfociava l’Ermo, il fiume che scendendo dalle montagne attraversava il centro di Sardi, capitale persiana della satrapía. Aristàgora, con il consenso degli alleati, concepì allora un piano per intimorire Artaferne. Risalì il fiume con la flotta e, giunto a Sardi di sorpresa, la incendiò con un’azione fulminea. Aristágora aveva dato prova dell’abilità dei greci, ma non aveva messo in conto la violenta reazione persiana, che non si fece attendere. Nel giro di pochi giorni, radunato un grande esercito da tutte le regioni circostanti, Artaferne piombò su Efeso e i greci subirono una disastrosa sconfitta. Gli Ateniesi e gli Eretriesi superstiti tornarono in fretta in patria sulle poche navi rimaste. Aristàgora cercò di rifugiarsi in Tracia, ma qui fu nuovamente sconfitto, e cadde durante gli scontri.

Prima di continuare a seguire le vicende tra Greci e Persiani, occorre fare una riflessione di carattere storico, e più ampiamente culturale e antropologico. Quel che sembra opportuno sottolineare, infatti, è il comportamento di grandi γένη delle famiglie aristocratiche greche. Spesso questi clan, guidati da capi ambiziosi e carismatici, come abbiamo visto per Istièo e Aristàgora, si appoggiano in modo del tutto disinvolto ad eserciti e poteri orientali, come i Persiani, per impossessarsi del potere nelle loro patrie. Si tratta di un atteggiamento spesso poco sottolineato, ma ben evidente nelle fonti, che non deve stupire. Ma si sbaglierebbe nel giudicare semplicemente opportunistica la prospettiva dei γένη aristocratici: il calcolo politico era presente, ovviamente, ma accanto ad esso c’era un aspetto importantissimo anche culturale e antropologico. Pur considerando βάρβαροι i popoli non educati alla maniera ellenica, in effetti, le famiglie aristocratiche greche, fin dal VII secolo a.C., ebbero profondi legami con le dinastie orientali, dagli Assiri, ai Lidi, ai Persiani e agli Egizi. Queste dinastie, i loro capi, i loro sovrani, e tutta la loro corte, non erano considerati “barbari” come i loro sudditi. Spesso, infatti, conoscevano la lingua ellenica, si circondavano di artisti e maestranze provenienti dalle più diverse regioni della Grecia. I Persiani, in particolare, non apparivano agli occhi dei Greci come i nomadi Sciti o i montanari guerrieri Traci, e neanche come i neri Libici o i pastori del deserto arabo. Possiamo dire che erano, per i Greci, meno “barbari” dei più barbari, e ciò in ragione della loro cultura: erano, in fondo, entrambi di origine indoeuropea. Dobbiamo immaginarci, a questo livello, uno scambio molto intenso tra le culture mediorientali e la cultura greca: lo testimoniano, ad esempio, tanti miti e leggende comuni, che in Grecia giunsero dall’Oriente, ma anche il rispetto e l’ammirazione con cui le fonti  greche di questi secoli parlano dei sovrani orientali e delle loro culture. Certamente, i vincoli di ospitalità con altre famiglie greche erano altrettanto profondi, e il concetto di grecità, τὸ Ἑλληνικὸν, era presente nelle coscienze. Ma un aristocratico greco, in molti casi, trovava nelle monarchie orientali un alleato più sicuro dei capi ‘democratici’ della propria patria; spesso si imparentava con le dinastie straniere, per stringere legami ancora più forti. E ciò non vale solo per i clan al potere tirannico in realtà greche come le città dell’alto Egeo, o delle isole di fronte alla costa anatolica, o per l’aristocrazia di Sparta, ma anche per molte figure dell’Atene democratica, come emerge, in modo del tutto evidente, per la vera e propria ‘dinastia’ dei Cipselidi. 

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