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Intorno al VI-V millennio a.C., dai territori boscosi tra il Mar Nero e il lago d’Aral, ove oggi sorgono gli stati del Kazakistan e dell’Uzbekistan, del Tagikistan e dell’Iran, fino alla Georgia e all’Azerbaigian, sembra essersi originato un grande movimento migratorio, durato migliaia di anni, in diverse direzioni. Protagonista di queste migrazioni fu un ‘popolo’, un insieme di clan familiari, che in due millenni ‘occupò’, integrandosi con le popolazioni incontrate, un’area immensa tra il fiume Indo a est, la Mesopotamia a sud, la penisola iberica a ovest, fino alla Scandinavia a nord. 

Da questo originario nucleo etnico discendono direttamente numerosi antichi popoli. Gli Hittiti, i Luvii e i Palaici, fin dal III millennio a.C. si stanziarono nella penisola anatolica: a questo ramo appartengono anche i Licii, i Lidii e i Carii, abitanti delle omonime e rispettive regioni. Gli Illiri popolarono fin dal II millennio a.C. la penisola balcanica dal Danubio fino alla Macedonia, e tutte le coste dell’attuale mar Adriatico. Sulla sponda opposta di questo mare troviamo un popolo che sembra strettamente imparentato con gli Illiri, i Messapi: si stanziarono tra il Molise e la Puglia. Anche a sud gli Illiri confinavano con un popolo ad essi legato: quello Albanese. Nel territorio dell’attuale Bulgaria, e fino alla sponda europea del Bosforo, si stanziò l’etnia dei Traci; oltre il Danubio, invece, nell’attuale Romania, il popolo dei Daci: di entrambi l’archeologia restituisce tracce che arrivano fin oltre il I millennio a.C. Più antica dovette essere la gente dei Macedoni, che occuparono il nord dell’attuale Grecia e la Macedonia attuale intorno al II millennio a.C. Sempre all’inizio del II millennio a.C., nel territorio compreso tra le attuali Polonia, Mosca, Kiev e Riga si stanziò un cospicuo popolo, quello dei Balti: da essi discendono i Lituani, i Lettoni, i Prussiani, e alcuni nuclei delle attuali Russia, Bielorussia e Ucraina. Al di là dei Balcani, verso le steppe russe, abitarono probabilmente fin da età antiche gli Slavi, che inizieranno migrazioni di massa in età tardoantica. A sud della Scandinavia e nella attuale Danimarca va collocato il nucleo storico del popolo dei Germani, migrato fin dal IV-III millennio a.C. dai territori originari unitari e ‘mescolatosi’ con l’etnia nordica (chiamata ugro-finnica) che lì si era già stanziata da millenni; da questo ‘incrocio’ discendono: gli Svevi (svedesi), i Danesi, i Norvegesi, gli Angli e i Sassoni, stanziati originariamente in Scandinavia; i Vandali, i Burgundi, i Gepidi, i Rugi, gli Eruli, i Bastarni, gli Sciri e i Goti, ubicati nel territorio tra i fiumi Oder e Vistola, ed emigrati poi dal III-IV sec. d.C. in altre regioni europee; i Frisoni, che popolarono l’attuale Olanda; i Batavi e i Treviri, l’attuale Belgio. Originariamente stanziatasi nella zona delle sorgenti di Reno e Danubio, l’etnia dei Celti si diffuse, tra VIII e VII sec. a.C., in diverse altre regioni europee, dall’attuale Francia fino alla penisola iberica, arrivando di fatto, intorno al IV sec. a.C., a ‘dominare’ quasi tutta l’Europa centro-occidentale. Ai Celti appartengono diverse genti: gli Irlandesi, gli Scozzesi, i Gallesi, i Bretoni, i Galli e i Celtiberi. Dalle foci dell’Ebro, in Spagna, per tutto il sud dell’attuale Francia fino alle coste tirreniche del centro Italia si erano stanziati, fin dal II millennio a.C., i Liguri, fondendosi con elementi preesistenti. La penisola italica fu protagonista, probabilmente, di diverse ondate migratorie, che si susseguirono tra il IV e il III millennio; diverse le etnie coinvolte: Veneti e Celti (Salluvii, Taurini, Insubri, Reti, Leponzi, Cenomani, Boi, Senoni), a nord; Etruschi e Umbri al centro, insieme a Latini, Sabini, Falisci, Equi, Ernici, Volsci. Quindi, andando verso Sud, il grande gruppo dei Sanniti parlanti l’osco (Pentri, Piceni, Irpini, Caudini, Marsi, Marrucini, Vestini, Peligni, Frentani, Aurunci, Ausoni, Lucani e Bretti; non sembra si possa parlare di ‘Osci’ come di un popolo unitario); in Sicilia, i Siculi. Tutte queste genti, secondo un’ipotesi molto in voga nel secolo scorso, sarebbero derivate da un originario ceppo ‘italico’: rispetto a questa teoria si preferisce oggi pensare, appunto, a migrazioni successive. Piuttosto tardi, non prima della fine del II millennio a.C., provenienti dall’Europa centrale, i Celti attraversarono i Pirenei, e si mescolarono, nel corso dei secoli, con le etnie iberica e basca (e forse tartessia), che già popolavano la penisola iberica da millenni; i Lusitani, stanziatisi nell’attuale Portogallo, discendono da tale migrazione celtica. Dai Balcani, intorno al III millennio, dovettero arrivare nella penisola anatolica i Frigi, che diedero vita ad un’importante civiltà (quella limitrofa alla Troia omerica). Ancora attraverso i Balcani sembra siano arrivati gli Armeni, che si insediarono nel territorio di una preesistente civiltà, intorno al monte Ararat – la cima su cui si incaglia l’arca di Noé – nell’attuale Armenia. Sempre attraverso i Balcani, ove si erano precedentemente stabiliti non oltre il IV millennio a.C., iniziarono a scendere nella penisola greca, dal II millennio a.C., le etnie che avrebbero costituito, in epoca storica, il popolo degli Elleni: l’etnia achea, quella ionica, quella eolica e quella dorica, alla fine del medesimo millennio. Queste etnie elleniche parlavano (e scrivevano) già a quel tempo in dialetti distinti, ma la loro lingua, originariamente e strutturalmente, era unitaria da oltre due millenni: il cosiddetto greco comune. Dei popoli di etnia indo-iranica abbiamo testimonianze fin da oltre la metà del II millennio a.C.: alcune dinastie di questa etnia governarono i popoli semitici della Mesopotamia. Dal primo millennio a.C., questo ceppo darà vita agli Indiani, stanziati nella valle dell’Indo; ai Medi e ai Persiani, stabilitisi lungo il Tigri; ai Cimmerii, abitanti a nord del Mar Nero; agli Sciti, che popolavano le steppe tra Mar Nero e Mar Caspio.  

Tutte queste grandi famiglie etno-linguistico-culturali, insiemi di diverse centinaia, a volte migliaia, di clan ben definiti, appaiono in epoca storica (dal II millennio a.C. in poi) differenziatisi e distinte, ma discendono, in ultima analisi, da un’unica etnia originaria. 

Di questo popolo originariamente unitario, portatore, nei territori in cui migrò, di una nuova cultura, anche materiale, non abbiamo testimonianze archeologiche univoche, perché ben presto le varie genti che da esso discesero produssero differenze, anche sensibili, fra di esse. Abbiamo però una ‘prova’ inconfutabile dell’originaria unità in un elemento che iniziò ad essere evidenziato dagli studiosi intorno alla metà del XIX secolo, grazie ancora una volta al metodo comparativo: la lingua. 

Tutte le lingue antiche (e alcune, ancora oggi, che da quelle discendono) parlate – e scritte – nell’enorme area geografica che si è delineata, infatti, presentano dei tratti comuni, fonetici, morfologici e soprattutto lessicali. Si tratta dell’hittito (hitt), la lingua che ha le testimonianze scritte più antiche (fin dal 1750 a.C.); l’illirico (ill); il messapico (mess); l’albanese (alb); il tracio (tr); il daco (dac); il macedone (mac); il lituano (lit); il lettone (lett); lo slavo antico (sl); l’antico tedesco (ted); il danese (dan); il sassone (sass); il gotico (got); il celtico (celt); il gaelico (gael); il bretone (bret); il ligure (lig); il latino (lat), l’osco (o); l’umbro (u); il piceno (pic); il lusitano (lus); il celtibero (celtib); il frigio (frig); l’armeno (arm); il greco (gr); il sanscrito (sscr); il persiano (pers); lo scita (sc); il tocario (toc). 

Soprattutto gli elementi lessicali comuni a tutte queste lingue riguardano tratti essenziali della cultura, come i numerali, l’onomastica, i termini religiosi, i termini di parentela, e della sfera materiale, come i termini di oggetti quotidiani e attrezzi, di animali e piante, di altri elementi naturali. Se ne deve dedurre che, in un periodo anteriore al VI millennio a.C., probabilmente anteriore persino alla rivoluzione agricola del neolitico (visti i pochi termini comuni riguardanti l’agricoltura), questo popolo si presentasse ancora unitario. Successivamente, in almeno tre grandi ‘ondate’, lasciando i territori originari, migrò verso tutte le direzioni e diede vita a culture e civiltà diverse, ma imparentate per alcuni tratti essenziali, che proprio grazie a questo ‘vocabolario’ possiamo ricostruire. 

Quando fu evidente che le cose, oltre otto-novemila anni fa, erano andate probabilmente in questo modo, linguisti, archeologi, storici e antropologi si impegnarono a cercare un nome per questo antichissimo popolo, che è, in fondo, il ‘padre’ originario della maggior parte dei popoli europei (e non solo): in mancanza di documenti scritti del tempo, infatti, ogni traccia di come queste genti chiamassero se stesse è andata perduta. Fra i tanti nomi proposti (ad esempio Ariani o Indogermanici) prevalse un termine, suggerito dallo studioso britannico Thomas Young nel 1813, con cui si intese sottolineare proprio l’originaria unità di due culture che oggi sembrano così distanti ai nostri occhi: Indoeuropei.

Quando, dagli ultimi decenni del secolo scorso, la genetica storica iniziò ad offrire dati sorprendenti e indiscutibili sulle ‘parentele’ ancestrali che legano i progenitori delle diverse etnie della terra, fu messo in luce che proprio ai territori tra Mar Nero e Mesopotamia, e per diffusione decrescente a raggiera in tutta Europa, appartengono due delle “componenti principali” del patrimonio genetico europeo (la 1 e la 3). Si confermò, così, che evidentemente da quei territori erano ‘partiti’ i primi gruppi dell’etnia indoeuropea che aveva popolato il continente. 

Se la genetica storica ci ha dato la ‘certezza’ di un’origine comune, solo la linguistica comparata può rivelarci qualche informazione sull’identità di questi nostri antichissimi progenitori. Dall’accostamento tra termini delle lingue antiche a noi note, appunto tra l’India e la penisola iberica, si possono ricostruire quei vocaboli che, con grande probabilità, furono all’origine di essi (i linguisti li contraddistinguono con un *) e che dunque appartenevano all’originario linguaggio indoeuropeo. Grazie ad essi, è possibile farsi un’idea di alcuni elementi culturali unitari e originari di questo popolo ‘indoeuropeo’. 

Si trattava, innanzi tutto, di un popolo di pastori e allevatori, più che di contadini. Esiste una parola comune per designare gli “ovini” (*owis: sscr. avis; gr. οΐς; lat. ovis), nonché il loro “riparo” (da *pa– “proteggere”: bulg. poljati; lat. palatium), probabilmente un recinto circolare fatto di legno e pietre. Comune è anche la parola per indicare la “lana” (*wlǝna), ma non, sorprendentemente, il “latte”. 

Gli animali domestici più diffusi erano appunto gli ovini, ma anche i bovini (*gwous: gr. βοῦς; lat. bos), e suini (*porkos e *sus), ed anche il cavallo (*ekwos; sscr. asvas; gr. ἵππος; lat. equus). Il cane (*kwon) era già addomesticato. L’ambiente floreale era costituito da roveri, betulle, abeti, sambuchi, olmi, pioppi, salici; il nome di albero più diffuso nella lingua comune è però quello del “faggio” (*bhagos). Nomi originari di animali selvaggi rivelano che gli indoeuropei avevano conosciuto (e lottato) in epoca ‘unitaria’ con lupi (*wlkwos), cervi (*kerǝwos) e, forse, anche con orsi (*kÞos). 

Gli indoeuropei in età unitaria avevano già sviluppato l’“aratro” (*arǝtrom), strumento indispensabile per lavorare il “campo” (*agros: sscr. ajras; gr. ἀγρός; lat. ager) e “seminare” (*semen-), soprattutto “orzo” (*yewo) e “grano (*puro). Doveva essere sviluppata anche l’apicultura (*melit): dal miele si ricavava anche una bevanda alcolica, l’unica nota, visto che il “vino” appartiene alla famiglia linguistica semitica (protosemita wain), ed arrivò nel Mediterraneo occidentale, e di qui in Europa, verso il IV-III millennio a.C., generando in tutte le lingue un prestito linguistico. La conoscenza della metallurgia non sembra sviluppata, a giudicare dal lessico comune ricostruibile, ove forse solo l’“oro” e l’“argento” erano indicati con termini poi rimasti in tutte le lingue, ma derivanti dal colore (*ghel: “giallo”; *arg-: “bianco”). 

Al contrario di quanto generalmente si afferma, non vi sono prove linguistiche di un vocabolario ‘militare’ indoeuropeo: è indubbio, tuttavia, che l’originario popolo dovette essere un popolo guerriero; la sua fondamentale novità poté forse essere l’impiego del cavallo, nonché del carro da guerra. Non a caso, esistono termini per “carro” (*wegh: gr. ὄχος; lat. veho, via; ted. Weg; ingl. way) e per “ruota” (*kwolos e *rot: gr. κύκλος; sscr. cakra; lat. rota; lit. ratas) risalenti al periodo unitario. 

Fin dal VI-V millennio gli indoeuropei abitarono probabilmente in agglomerati di case che sorgevano su alture (*bhrgh: germ. –burg), le prime “città” (*plH: gr. πόλις; sscr. pur; lit. pilis), ma è quasi certo, vista anche la documentazione archeologica, che fossero caratterizzati in gran parte da un seminomadismo legato alla pastorizia, e che abitassero soprattutto in grotte naturali e ‘case’ scavate nella roccia, che servivano anche come riparo per il bestiame. Questa pratica è continuata, presso moltissimi popoli di origine indoeuropea, ancora fino al secolo scorso.     

Sulla religione dell’unitario popolo indoeuropeo non tutti, oggi, sono concordi con la classica ricostruzione del grande storico delle religioni francese Georges Dumézil, che nel secolo scorso cercò di ricostruire quasi tutto il pántheon indoeuropeo. Certamente il nome comune del più importante dio (maschile) è *dyéus, in genere accompagnato dalla parola “padre” (*pǝtér). Sembra possibile che le forme più antiche di religiosità consistessero nella venerazione di fenomeni naturali, come il fuoco, il fulmine, il tuono, i venti, o anche di elementi naturali, soprattutto gli alberi e le fonti d’acqua. Certa appare la venerazione del sole. Tutti questi culti sono stati perpetuati da gesti e pratiche rituali che, con grande probabilità, emergono ancora oggi nel folklore di diversi popoli europei. Esisteva probabilmente la figura di un “sacerdote” e un rituale che prevedeva “offerte” (*bhlaghmn: sscr. brahman; lat. flamen). La credenza nella vita ultraterrena, o in ogni caso l’omaggio al defunto, era rappresentata concretamente dall’erezione di un “tumulo” in suo onore (kurgan).

L’originaria società indoeuropea era costituita da nuclei ben determinati a carattere di sangue: è questo uno dei punti più sicuri che la comparazione linguistica ci rivela. Al “padre” (*pǝtér: sscr. pita; gr. πατήρ; lat. pater; germ. Vater; toc. pacar) e alla “madre” (*mater: sscr. mata; gr. μᾱτηρ; celt. mathir; lit. mote; lat. mater) corrispondevano “figlio” (*sunus: sscr. sunus; lit. sunus; russo syn; ted. Sohn; ingl. son) e “figlia” (*dhughǝter: sscr. duhita; gr. θυγάτηρ; lit. dukte; pers. duxt; ted. Tochter; ingl. daughter). Esistono termini comuni per “fratello” e “sorella”, nonché per “nonno”, “nonna”, e “nipote”, nonché per “suocero/a” e per “nuora”. Altri termini importanti designavano la “vedova”, mentre non sembrano esservi stati termini originari per designare “moglie” e “marito”: si impiegavano, probabilmente, i termini generici di “uomo” (*ner o *wiros; lat. vir) e “donna” (*[e]sor o *gwena). Da tutto ciò si può dedurre che la ‘famiglia’ indoeuropea era di tipo patriarcale: abbondano i termini che definiscono la relazione tra la donna/moglie e la famiglia del marito. Gli antropologi definiscono questo tipo di legame ‘grande famiglia’ o clan (*woik(o)s: sscr. vis; gr. οἶκος; sl. visi; got. weihs) raggruppata intorno ad un capostipite. È interessante notare come il termine di “padre”, *pǝtér, appartiene alla categoria dei cosiddetti nomi d’agente (formati con il suffisso *–ter), forse da una radice *pa– che significa “proteggere”, e che è la stessa da cui si è originato il termine “pastore” (*poi/pǝi; gr. ποιμήν; lat. pastor): il “padre” protegge la sua famiglia come il “pastore” difende il suo bestiame. 

Il sistema onomastico era caratterizzato da nomi ‘parlanti’, che indicavano qualità o auspicavano forza, valore e coraggio. Spesso si trattava di nomi composti. Frequentemente il nome proprio doveva essere accompagnato da quello del padre (in genitivo): di qui si sarebbero originati i gentilizi romani, e poi i cognomi moderni.

Pochi sono gli elementi che possiamo ricondurre alla politica e alla società indoeuropee comuni. Esisteva certamente un termine per designare un “capo”: *reks (sscr. rat; irl. ri; gall. rix; lat. rex), ma non possiamo spingerci a ricostruire le sue funzioni. Significativo notare che non vi è alcuna parola per indicare la “schiavitù” né, sembra, il concetto di “libertà” e di “uomo libero”. Queste categorie, dunque, devono appartenere ad età più recenti, in cui le diverse genti indoeuropee si erano già separate e differenziate. 

Non sembrano esserci stati termini indicanti la “scrittura”, ma un termine che deriva da “faggio” (*bhagos) potrebbe aver indicato “tavolette” per incidere segni: è rimasto in diverse lingue, a cominciare dal ted. Buch e dall’ingl. Book. Affascinante, e in gran parte condivisa, è l’ipotesi di alcuni studiosi che hanno individuato, in alcune espressioni ‘formulari’ comuni (anche ritmicamente) in greco e in sanscrito, le tracce di un’originaria e comune ‘poesia orale indoeuropea’. Questa tradizione sarebbe caratterizzata da gesta eroiche di grandi personaggi, che cercano aksitam sravas/ἄφθιτον κλέος (sscr/gr) “gloria imperitura”, con isirena manasa/ἱερὸν μένος, “animo vigoroso”. Comuni e originarie potrebbero essere anche diverse immagini metaforiche ed espressioni frequenti dell’epica omerica e vedica, come “gli dèi dispensatori di beni”, “l’aurora che illumina i mortali”, “l’ampia terra”, “i cavalli dalle criniere dorate”, e altre. Sicuramente il ritmo di questi canti doveva essere basato sulla metrica di tipo accentuativo; doveva prevedere già diverse figure retoriche, che innalzavano il tono del linguaggio, come l’allitterazione, il parallelismo, e la composizione ‘ad anello’.

Gli indoeuropei, l’originaria etnia da cui sembra discendano tanti popoli oggi diversissimi fra di loro, iniziarono la ‘colonizzazione’ dell’Europa (e dei territori mesopotamici e indiani) dal V-IV millennio a.C., fino all’ondata più cospicua, che sembra essersi verificata tra III e II millennio a.C. Erano pastori e allevatori di cavalli, avevano una famiglia patriarcale, un dio ‘Padre’ collocato in cielo, ed erano sicuramente un popolo bellicoso. Incontrarono i più antichi abitatori europei, che discendevano da etnie caucasiche del neolitico, e che erano soprattutto contadini o pescatori, avevano una famiglia matriarcale, una dea ‘Terra’ principale, e un carattere – forse – più mite e pacifico. Nel corso di poco più di un millennio gli indoeuropei si scontrarono, si sovrapposero, e progressivamente si sostituirono come etnia dominante (in ogni aspetto) sull’antico sostrato etno-linguistico-culturale, dando vita alle principali civiltà e alle culture europee di età storica: i Celti e i Germani, gli Italici e gli Elleni. Gli antichissimi popoli preesistenti si rifugiarono in aree marginali e inospitali, come i Baschi nei Pirenei e i Finni nella Scandinavia del nord, o nelle isole, come i Sardi in Sardegna e nelle Baleari; i Sicani in Sicilia, i Cretesi a Creta. Proprio questi ultimi, creatori di una splendida civiltà, costituiscono un caso emblematico della vicenda storica, culturale e umana che investì l’Europa tra III e I millennio a.C.

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