Lucio Cornelio Silla apparteneva ad un ramo minore della gens Cornelia. Istruito, letterato, amante della poesia greca: le fonti lo descrivono come un ragazzo astuto e spregiudicato. Da giovane aveva sposato Giulia Minore, sorella del padre di Giulio Cesare: questa Giulia era la sorella di Giulia maggiore, la seconda moglie di Mario. I due, dunque, almeno per un primo periodo, erano stati cognati. Ma il matrimonio era stato piuttosto di facciata. Silla – si era detto – aveva frequentato soprattutto la ‘casa’ di una prostituta, molto più grande di lui, che lo aveva aiutato economicamente nei problemi finanziari della sua gens. 

Nel mondo romano la prostituzione ebbe aspetti in parte diversi da quella del mondo greco. A Roma vi furono, fino alla prima età imperiale, almeno due tipi di prostituzione: quella dei lupanaria, “bordelli” più popolari, spesso animati da donne (dette cunnus o scortum) provenienti anche da altre regioni del Mediterraneo, e quella dei thermopolia, locande che prevedevano ristorazione al piano terra e piaceri al piano superiore: qui i clienti erano anche personaggi di rango e le prostitute (chiamate meretrix) soprattutto italiche, spesso molto ricche, e in molti casi colte. 

Una meretrix, sicuramente, doveva essere la prostituta che aveva aiutato il giovane Silla, tanto da lasciargli l’intero patrimonio alla sua prematura morte, avvenuta quando Silla aveva circa trent’anni. I suoi avversari gli avrebbero rimproverato sempre l’origine delle sue ricchezze.

Ottenuta, in modo così inaspettato, una solida posizione economica, Silla aveva iniziato la sua carriera pubblica proprio su invito del cognato, Mario, allora console per la prima volta. Mario lo aveva nominato questore nell’esercito che aveva arruolato per la campagna di Numidia contro Giugurta. E Silla si era distinto per capacità e intraprendenza: forse troppo, visto che Mario non gli avrebbe rinnovato l’incarico, per tutti i suoi lunghi altri cinque consolati. Erano probabilmente nati già in terra d’Africa, dunque, quei dissidi e quelle rivalità che avrebbero caratterizzato il rapporto fra i due, fino a sfociare in odio estremo: così sembra anche evincersi dalle parole di Sallustio nel Bellum Iugurthinum. 

Quelli tra il 106 e il 102 a.C. erano stati anni difficili, per Silla: emarginato da Mario, si era avvicinato ad un altro personaggio importante della politica romana, di parte conservatrice: Quinto Lutazio Catulo, discendente del grande ammiraglio della vittoria delle Egadi. Silla era stato scelto da lui come legatus nello scontro con i Teutoni ai Campi Raudii, dell’estate del 101, ove ancora una volta aveva dimostrato la sua abilità militare. Era stato lui, anzi, a non far fare brutta figura all’ala guidata da Catulo, in difficoltà, mentre Mario riportava la sua schiacciante vittoria.

Arriviamo così alla fine del 100 a.C. quando, dopo l’imbarazzante faccenda del tribuno Saturnino, Mario parte per un lungo viaggio in Oriente, concedendosi qualche anno di riposo. Roma è in mano ai Mariani e Silla, quasi quarantenne, deve tenersi ancora una volta in disparte a studiare la situazione. Nel 96 è pretore nella provincia di Cilicia, in Asia: incontra il re Mitridate e lo riceve, non senza attirarsi polemiche, in modo ufficiale, quasi fosse un console romano. È probabilmente in questi anni che Silla si rende conto delle enormi ricchezze dei territori orientali, e delle grandi possibilità di carriera politica che offrono gli incarichi in Oriente. Nell’89 va collocato un fatto privato, ma di importanza notevole per i rapporti politici di Silla. Cecilia Metella, figlia dell’influente pontefice Quinto Cecilio Metello Dalmatico, di parte nobiliare, rimane vedova, con due figli piccoli, un maschio e una femmina, di Marco Emilio Scauro, altra figura importante degli optimates, che era stato console nel 109 a.C. A Silla viene proposto di sposarla: all’età di quasi cinquant’anni, dunque, e dopo quasi trenta di matrimonio, Silla ripudia la moglie Giulia e si imparenta con i Metelli. Una ‘mossa’ che segna, di fatto, la rottura definitiva con la parte dei populares e l’entrata di Silla nel gruppo dirigente degli optimates. A Silla, Metella darà immediatamente due gemelli, chiamati per buon augurio Fausto e Fausta.

I risultati politici del nuovo matrimonio si Silla si vedono subito. Sempre nell’89 a.C. a lui è affidato il comando di due legioni in uno dei momenti più difficili per Roma in questo secolo.

L’anno precedente, infatti, è ‘scoppiato’ in tutta la sua drammaticità il problema dell’estensione della cittadinanza agli Italici. Il diritto ad essere “cittadino”, nel mondo antico, e nella storia in genere, ha sempre costituito un punto centrale della politica. Essere cittadini significava, soprattutto in passato, godere di maggiori diritti e privilegi, soprattutto fiscali. In età in cui gli stati aumentavano le finanze pubbliche incamerando beni di popoli sconfitti in guerra, chi era cittadino poteva contare, molto spesso, sull’esenzione totale dei tributi, o su una loro riduzione notevole. Il cittadino, poi, aveva diritto alle distribuzioni di denari e beni (le frumentationes) derivanti sempre da guerre vittoriose. Ultimo, spesso più ideale che reale, era il diritto politico: il cittadino poteva votare per i suoi governanti. Roma, nel corso dei secoli, aveva costruito, come si è visto, tre tipi di cittadinanza con le genti e i popoli con i quali era venuta in contatto. Solo ai cives Romani dell’urbe erano concessi i pieni diritti: erano i discendenti di Romolo, i Quirites, esentati da ogni tassa e forniti di tutti i diritti di voto. Ai popoli dell’antica lega Latina, poi, erano riservate esenzioni fiscali, ma non il diritto di voto (a meno che non scegliessero di risiedere a Roma). Ben maggiori erano i tributi imposti agli italici, che non godevano, ovviamente, del diritto di essere eletti e di eleggere cariche politiche. Ultimi, nella scala degli abitanti della respublica, erano i nuovi popoli che abitavano le provinciae: tartassati dall’imposizione fiscale condotta spregiudicatamente dai publicani, erano considerati sudditi, non cittadini. Gli italici, fin dai tempi dei Gracchi, avevano chiesto riduzioni del carico fiscale e diritto di voto nei comizi di Roma, ma senza risultati. Le loro rivendicazioni erano state fatte proprie dai populares, certamente per spirito di uguaglianza, ma anche per strategia politica, che mirava a indebolire numericamente il corpo elettorale degli optimates. L’ala più radicale dei populares, insomma, spingeva da tempo per la concessione della cittadinanza piena a tutti gli Italici. Così nel 91 a.C., in pieno dominio dei Mariani nella politica romana, Marco Livio Druso, tribuno della plebe, d’accordo con tutti gli altri colleghi, che non avrebbero posto il veto, aveva messo all’ordine del giorno una legge popolare per l’estensione della cittadinanza. Da tutti i municipi italici erano giunte a Roma migliaia di persone per assistere ad un giorno che sarebbe dovuto essere storico. Era accaduto, però, qualcosa di imprevedibile e straordinario. La plebe di Roma, in parte sobillata dagli optimates, in parte intimamente gelosa dei propri diritti, aveva bocciato la proposta. Gli italici giunti a Roma erano insorti. Una legione aveva dovuto domare la rivolta. I tribuni erano fuggiti. Druso in persona era stato assassinato. Ma ormai era troppo tardi: le rivendicazioni non potevano più aspettare. Così numerosi municipi italici, soprattutto delle regiones del centro italia, dall’Etruria all’Umbria, dal Picenum alla Marsica, fino alla Campania, erano insorte contro Roma, avevano formato eserciti spontanei, e sembravano pronte ad unirsi e marciare contro la capitale: era scoppiata la “guerra sociale”, bellum sociale (dai socii italici). A Corfinium, nell’attuale Abruzzo, si erano riuniti i rappresentanti dei municipi ribelli. Qui si era deciso addirittura di iniziare a battere moneta autonomamente: su un lato di questa nuova moneta, per la prima volta nella storia, fu coniato il termine ITALIA. Fin dagli ultimi mesi del 91 a.C. diversi proconsoli erano stati inviati nelle zone insorte. La situazione, a Roma, era di estrema confusione, e il partito dei Mariani sembrava in grande difficoltà.

In questo contesto Silla ebbe la sua grande opportunità. In qualità di propretore viene inviato in uno dei più difficili teatri della rivolta, la città di origine sannita di Aeclanum, vicino a Avellino. Ancora una volta, Silla si dimostra dotato di grande capacità militare e in qualche settimana riesce ad aver ragione del municipio ribelle. Al suo fianco è Gneo Pompeo Strabone, padre di un giovane che farà molto parlare di sé. Per questo successo, nell’estate di quell’anno, è candidato al consolato, e lo ottiene, grazie all’appoggio dei Metelli e di molti optimates. 

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