L’anno del primo consolato di Silla, 88 a.C., si apre con un evento funesto e gravido di conseguenze. Mitridate VI, re del Ponto, già da diversi anni infastidiva con schermaglie e ritorsioni economiche i commerci romani in Oriente. All’inizio dell’anno, con una di quelle decisioni che spesso lasciano interdetti anche gli storici, perché sembrano da ricondurre più alla presunzione dell’animo umano che ad una fondata strategia politica o militare, Mitridate fa assassinare, da centinaia di sicari inviati in tutte le città dell’Oriente, ma anche della Grecia, oltre ottantamila romani (e italici): commercianti, militari delle guarnigioni, ma anche giovani cittadini che studiano nelle scuole di retorica e filosofia di Atene, di Rodi o di Pergamo. Il senato romano, questa volta, dopo anni di esitazioni per non impegnarsi in un nuovo fronte così lontano da Roma, dichiara immediatamente guerra a Mitridate. Il comando della spedizione, tanto più per il ruolo di console che ricopre, spetta a Silla, che nel giro di poche settimane allestisce sei legioni e marcia verso Brindisi, il porto da cui salpare verso Oriente.  

In primavera, dunque, Silla è a Brindisi e attende ai preparativi per la partenza. A Roma, però, i Mariani tentano un colpo di mano. Il tribuno mariano Sulpicio, infatti, impugna la decisione del senato e fa votare una legge con la quale il comando della spedizione in Oriente viene tolto a Silla e assegnato all’ormai settantenne Mario. Appresa la notizia, Silla decide di tornare a Roma, disobbedendo al decreto dei comizi popolari e soprattutto, per la prima volta nella storia, portando con sé, senza autorizzazione, due delle sei legioni da lui arruolate, quelle più fedeli. In pochi giorni Silla è in città e coglie impreparati i Mariani, che si stanno organizzando anche militarmente. Sulpicio, Mario e gli altri fuggono, e si rifugiano a Preneste (Palestrina). Silla, fatti imprigionare e uccidere diversi capi populares e ristabilito il suo potere di console, riparte nei primi giorni di maggio per Brindisi, da dove, finalmente, fa rotta verso il Ponto. Appena partito Silla, però, i populares tornano a Roma. Nelle elezioni per il consolato dell’87 riescono, nell’assenza dei sillani, a far eleggere Lucio Cornelio Cinna: è il nuovo capo indiscusso del partito dei Mariani; e ancora una volta è legato, non a caso, alla famiglia dei Giuli Cesari: sua figlia, che all’epoca non ha neanche dieci anni, è già stata promessa sposa al rampollo di quella famiglia, Gaio Giulio Cesare, che allora ne ha appena quattordici; lo sposerà, a tredici anni, nell’84. Insieme a Cinna, però, viene eletto anche un console degli optimates, Gneo Ottavio. Anche di lui risentiremo parlare: è il trisavolo di Ottaviano, che diventerà Augusto.  Cinna e Ottavio iniziano subito a discutere su una nuova proposta rivoluzionaria dei populares: la rimodulazione delle liste di cittadini nelle antichissime centurie. La divisione in centurie dei cittadini romani risaliva ormai a quattro secoli prima, agli inizi della respublica, ed era su base censitaria. Le centurie erano 188, ma gli optimates, nobili e cavalieri, avevano la maggioranza assoluta perché erano raggruppati in 98 centurie. Le votazioni dei comizi centuriati, dunque, erano sempre a favore degli optimates. Cinna propose di ridistribuire i cittadini in modo equo in collegi, su base territoriale e non censitaria.

Lo scontro si consumò in modo drammatico. Nel giorno in cui si sarebbe dovuta votare la proposta di legge di Cinna, gli optimates scatenano una guerriglia. Cinna, e altri mariani, fuggono a Nola, in Campania, ove si congiungono con gli ultimi rivoltosi della guerra ‘sociale’. Si tratta di tre figure cruciali nella storia di questi anni. Sertorio, il primo, era umbro di Norcia, e figlio di una cugina di Gaio Mario; il secondo, Gneo Papirio Carbone, era originario del Piceno, e aveva militato per anni negli eserciti mariani; il terzo, Gaio Ponzio Telesino, era invece di antica e nobile famiglia sannita, ed era il capo indiscusso delle genti italiche meridionali. Mentre i quattro organizzano una marcia su Roma per l’estate, Gaio Mario in persona assedia Ostia e blocca i rifornimenti all’urbe. All’inizio di luglio, Roma capitola. Ottavio fugge, e con lui molti optimates e senatori. I Mariani scatenano la vendetta. Per la prima volta sono affisse, nel Foro, delle vere e proprie liste di cittadini che possono essere eliminati senza regolare processo, da chiunque, e con laute ricompense. Sono le prime “liste di proscrizione” della storia romana. Alla fine dell’estate si eleggono i consoli per l’86. Cinna viene riconfermato al suo secondo consolato, ma a scendere in campo attivo, a settantadue anni, è il capo storico dei populares: a Gaio Mario viene assegnato il suo settimo consolato. Si avvera così, dopo decenni, il presagio dei sette aquilotti trovati accanto a Mario ancora in fasce. Nessuno, nella storia di Roma repubblicana, avrebbe mai raggiunto questo numero di cariche.

Il settimo consolato di Mario, però, dura pochi giorni. A metà gennaio, infatti, il grande capo dei populares, tra l’altro malato e provato dal tempo, viene trovato morto nel suo letto. Qualcuno dirà che sono stati proprio gli emissari di Cinna ad eliminare l’ingombrante figura; la versione ufficiale, invece, sarà di morte naturale. Così, in ogni caso, si conclude la vicenda di una delle figure più importanti nella storia dell’ultimo secolo della respubblica, che va ricordata per due elementi principali: l’organizzazione in ‘partito’ della fazione dei populares; la riforma dell’esercito, che avrebbe avuto conseguenze irreversibili nella storia romana.

A Mario succede il consul suffectus Valerio Flacco, altro popularis ovviamente. Ma è Cinna che detiene saldamente il potere, e lo farà ancora per due lunghi anni: sarà rieletto console, infatti, sia per l’85 sia per l’84 a.C., quattro anni di seguito.

Silla intanto è sbarcato in Grecia dall’estate dell’87 a.C. La sua è un’avanzata fulminante: dopo aver organizzato l’esercito, all’inizio della primavera dell’86 assedia Atene, in mano ai ribelli filo-Mitridatici, e la conquista, consentendo alle sue legioni un primo ricchissimo e sanguinoso saccheggio. Silla fa dunque marcia verso nord. Sgomina la resistenza in Tessaglia, poi giunge in Macedonia. Per tutto l’85 a.C. marcia attraverso la Tracia, impadronendosi di innumerevoli tesori. Alla fine dell’estate dello stesso anno, varcato l’Ellesponto, Silla è pronto a sferrare l’attacco finale contro Mitridate. Ma il re, resosi conto dello squilibrio delle forze in campo, firma il trattato di pace che gli impone durissime condizioni. Silla ha vinto, ma invece di tornare a Roma, ancora dominata da Cinna e dai populares, decide di rimanere alcuni altri mesi in Oriente, consentendo ai suoi soldati di arricchirsi in saccheggi e ruberie di ogni tipo. È anche, forse soprattutto per questo motivo, che questa spedizione, per gli storici romani, avrà un significato particolare, sarà considerata l’origine di molti mali che affliggeranno Roma nei futuri decenni: la cupidigia, la mollezza, la lussuria. Famose le parole di Sallustio: “Silla, per attirarsi il favore delle truppe che aveva condotto in Asia, contrariamente al mos maiorum le aveva trattate con indulgenza eccessiva. L’amenità dei luoghi, i piaceri, l’ozio ben presto fiaccarono lo spirito fiero di quei soldati. Laggiù per la prima volta un esercito del popolo romano sperimentò piaceri che non conosceva, l’amore e il vino; imparò ad apprezzare opere d’arte, statue e quadri, vasellame cesellato, e incominciò a portarli via sia dalle case private sia dagli stati, a spogliare templi, a profanare ciò che apparteneva agli dèi e agli uomini. Quei soldati, dopo la vittoria, non lasciarono nulla ai vinti. Quando i beni di fortuna diventarono un merito e procurarono gloria, potere e prestigio, i valori morali incominciarono a scadere, la povertà fu ritenuta un disonore, l’integrità parve un’ostentazione malevola. Dalla ricchezza derivarono edonismo, cupidigia, tracotanza e si propagarono tra i giovani, che si abbandonarono alla violenza e alla sovversione”. 

Per la primavera dell’84 a.C. Silla si preparava a tornare in Italia. Cinna e Papirio Carbone, per fronteggiare il prossimo, e probabilmente decisivo, scontro, radunano un esercito nel Picenum. Il loro piano è fermare Silla lungo la linea adriatica, impedendogli di giungere a Roma. Proprio durante l’organizzazione della controffensiva, però, accade un fatto sorprendente.  Cinna è assassinato da un gruppo di populares radicali. Il partito mariano, ora, è guidato da Sertorio e Papirio Carbone. Silla, sbarcato a Brindisi, prende tempo: vuole essere sicuro della vittoria finale e manda un suo giovanissimo luogotenente, dotato di grandi doti strategiche, a fronteggiare Carbone in Etruria: il giovane, che ha appena ventidue anni, si chiama Gneo Pompeo. Se ne risentirà a lungo parlare.

Per tutto l’83 a.C. i due eserciti romani, quello fedele a Silla e quello in mano ai populares, si fronteggiano lungo l’appennino. Sono in corso, probabilmente, anche trattative per spartirsi il potere, che però non giungono a buon fine. Nel frattempo i populares eleggono console Gaio Mario il giovane, figlio di Mario, appena ventenne. 

Nella primavera dell’82 a.C. Silla marcia finalmente su Roma, senza incontrare resistenza. Carbone e il giovane Mario si rifugiano ancora a Preneste, lasciando senza difese la città. Silla entra trionfatore dalla via Latina e inizia ad eliminare decine di avversari politici. In estate, lasciate due legioni a sorvegliare Mario il giovane imbottigliato presso Preneste, si sposta in Etruria per bloccare Carbone. Ma in soccorso dei Mariani giunge anche Ponzio Telesino, che all’inizio dell’autunno si schiera appena fuori le mura, alla periferia di Roma, nel sobborgo di Antemnae, ad appena due km da Porta Collina, l’ingresso della via Nomentana in città. 

Venuto a sapere dell’arrivo delle ingenti truppe di Telesino, circa 70mila uomini, presso Roma, Silla si precipita a tappe forzate verso l’urbe, ove giunge alle prime luci dell’alba del 1 novembre dell’82 a.C. I suoi generali gli consigliano di aspettare qualche giorno e far riposare i suoi uomini, stanchi del viaggio e degli scontri in Etruria. Ma Silla è deciso a rischiare il tutto per tutto. Al suo fianco ci sono Gneo Cornelio Dolabella, Tito Manlio Torquato e Marco Licinio Crasso. Intorno alle quattro del pomeriggio, mentre già il sole sta tramontando, Silla dà ordine di attaccare: scommette tutto sulla difficoltà di muoversi tra i luoghi dei sobborghi romani per l’esercito sannita di Telesino, che non conosce bene strade e scorciatoie. Lo scontro è durissimo: Silla stesso, che guida l’ala sinistra a cavallo, rischia di essere disarcionato. Per prima sfonda le fila nemiche dell’ala destra, alla cui testa è Crasso. Crasso si getta all’inseguimento dei fuggiaschi, fino all’accampamento. Qui l’esercito di Telesino si trova intrappolato alla confluenza tra l’Aniene e il Tevere. Silla raggiunge Crasso lungo la via Nomentana: è un massacro che dura tutta la notte fino alla mattina inoltrata del 2 novembre. Tutti i populares e i Sanniti vengono uccisi, tra essi anche Ponzio Telesino: Silla lo fa decapitare e la sua testa viene spedita a Gaio Mario il giovane assediato a Palestrina. Per la fulminea e fortunosa vittoria, Silla riceve il soprannome di Felix, “fortunato”, nel senso di “protetto dagli dèi e dalla Fortuna”.

Riunito il Senato, pochi giorni dopo la battaglia di Porta Collina, con la lex de Sulla dictatore Silla ottiene i pieni poteri a tempo indeterminato. Dovrà riorganizzare la respublica, eliminare molte delle riforme varate dai mariani in oltre venti anni di dominio della politica romana, e stroncare gli ultimi focolai di ribellione sia degli italici sia dei populares fuggiti. In appena due anni Silla mette in atto la sua controriforma: 

– aumento del numero dei senatori da 300 a 600, con l’inserimento di fedelissimi optimates; 

– cancellazione di tutte le leggi sui comizi approvate dai populares;

– imposizione di un limite alla rielezione della medesima carica (dieci anni), per evitare la concentrazione del potere, e di una gradualità fissa nel cursus honorum; 

– assegnazione del potere giudiziario ai senatori, e non agli equites; abolizione del diritto di appello nei crimini politici;

– limitazione del diritto di veto dei tribuni della plebe.

Alla fine del 79 a.C., dopo appena tre anni, con un gesto sorprendente che coglie tutti di sorpresa, Silla depone il potere e si ritira a vita privata nella sua villa campana di Cuma. Qui, tra feste e banchetti, in compagnia di amici ballerini e attori, e del famoso scrittore di mimi Publilio Siro, passerà gli ultimi mesi della sua vita. Morirà, infatti, appena l’anno successivo, nel 78 a.C., quando ormai sulla scena politica di Roma si stava imponendo un altro astro del partito aristocratico, il trentenne Gneo Pompeo.

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