All’indomani della morte di Domiziano, rimanevano in vita i due ragazzi, figli del cugino Flavio Clemente, che egli aveva adottato e costretto a cambiare nome in Vespasiano e Domiziano: nessuno, però, pensò di concedere alla gens flavia un’altra opportunità per mantenere il potere. Così il senato, immediatamente riunitosi, elesse fra le sue fila un imperatore, senza consultare l’esercito, ripristinando il suo antico privilegio. La scelta cadde su un anziano senatore, Marco Cocceio Nerva, all’epoca settantenne.

Nerva era nato nel 26 a Narni; figlio di un illustre giureconsulto, aveva fatto carriera militare e politica soprattutto sotto i Flavi ed era stato due volte console. Domiziano gli aveva affidato il governo della Mauritania, e lì si era distinto per il mantenimento dei confini romani. 

Ricorda Cassio Dione, lo storico greco cui dobbiamo la testimonianza più preziosa su questa parte di storia che va da Domiziano fino ai Severi, che Nerva “non fece nulla se non in accordo con il senato”.

Iniziò ad adoperarsi soprattutto al risanamento delle casse dello stato, dissanguate dalle spese folli di Domiziano. Del precedente princeps, di cui fu dichiarata la damnatio memoriae, fece fondere tutte le statue in metallo, per ricavarne moneta. Non volle farsi chiamare divus, né farsi onorare se non come guida militare. Abolì giochi e spettacoli, gare e concorsi artistici. 

Non mancò, tuttavia, chi pensò di eliminarlo con una congiura. Calpurnio Crasso, organizzata la cospirazione, sedeva accanto a lui in teatro. Ad un tratto Nerva si alzò, tirò fuori dalla toga un pugnale e porgendolo al congiurato disse: “Non devi dunque uccidermi?”. Il rigore e il coraggio dell’anziano imperatore umiliarono Crasso e gli altri, che si consegnarono alla giustizia.

Alla fine del 97, affaticato dal governo e appesantito nel fisico, Nerva sentì che si stava avvicinando il momento della morte. Così radunò il popolo e i senatori, e dalla tribuna del Campidoglio affermò, benché avesse dei discendenti, che la cosa migliore per lo stato sarebbe stata l’adozione di un princeps capace e meritevole. “Dunque adotto come successore Marco Ulpio Traiano”, disse, e lo proclamò Cesare in Senato. Tutti furono lieti della scelta. Era nato un nuovo sistema di principato, che avrebbe in parte sostituito quello ‘dinastico’ per circa un secolo: il principato per adozione. Già Augusto, del resto, era ricorso all’adozione per scegliere il proprio successore. Si trattava, in qualche modo, anche di una legittimazione politica e ‘filosofica’ del nuovo potere assoluto incarnato dal princeps, scelto per le sue doti e capacità, e non per linea dinastica. Si affacciava l’idea di un optimus princeps, vagheggiata dai filosofi antichi e ora celebrata dagli intellettuali del tempo.

Due mesi dopo, il 25 gennaio del 98, Nerva si spense. Le sue ceneri furono sepolte insieme a quelle dei giulio-claudii nell’Ara Pacis.

Marco Ulpio Traiano era nato nel 56 a Italica, la città fondata dagli Scipioni nell’attuale Andalusia durante le guerre puniche. Proveniva da una famiglia di origine umbra, di Todi, che lì si era trasferita ormai da due secoli come coloni. Era dunque di stirpe comunque italica, non provinciale, come spesso si afferma erroneamente. Tuttavia era il primo imperatore nato e cresciuto in una provincia romanizzata. La madre, Marcia, era probabilmente nativa dell’Iberia. 

Il padre Ulpio aveva militato nella guerra giudaica ed era stato subito notato da Tito e Vespasiano, che lo avevano promosso sul campo: nel 72 aveva ricoperto la carica di console, nel 76 era stato nominato governatore di Siria. 

Traiano, intanto, cresceva ad Italica, con la nonna Ulpia e la zia Ulpia Traiana. Quest’ultima aveva sposato, sempre in Hispania, un altro colono italico, Publio Elio Adriano. Il figlio, cugino di Traiano, era morto giovanissimo nell’86, lasciando un bimbo, Adriano, che crescerà al fianco del prozio Traiano, e che da questi sarà adottato come suo successore.

Intorno ai vent’anni, intanto, anche Traiano si era sposato, con una giovane sempre di origini italiche, Plotina: donna colta e intelligente, frequentava libri di filosofia epicurea. Non darà figli all’imperatore.

Fino all’89 il giovane Traiano era stato al seguito del padre in Siria e in altre campagne militari. Sotto Domiziano aveva avuto il comando delle legioni in Spagna e in Germania, e si era distinto per le grandi doti strategiche e il coraggio sprezzante. Nell’atteggiamento ricordava il grande Giulio Cesare: frequentava i soldati, mangiava e dormiva con loro. Si lanciava all’assalto nelle prime file. 

Stimato a Roma, dal senato e dall’esercito, aveva vinto la sfida con un altro grande generale, Curiazio Materno, per la scelta del successore di Nerva. Così per l’anno 98 avrebbe dovuto ricoprire la carica di console e si accingeva a tornare a Roma dal confine del Reno, ove era ancora di stanza con cinque legioni. 

Fu raggiunto, invece, proprio dal nipote Adriano, che gli portò la notizia della morte di Nerva: era lui ora, il nuovo imperator. Fu acclamato e festeggiato sul campo dalle truppe, e decise di non recarsi subito in Italia, perché doveva concludere la campagna germanica. Rinviò dunque Adriano a Roma, con un discorso di ringraziamento ai senatori, e alcuni atti ufficiali da far ratificare al senato stesso. Nel discorso, Traiano affermava di voler occuparsi dei confini dell’impero, della sicurezza e della pace di Roma. Al Senato sarebbe spettata la politica dell’urbe e dell’Italia, la cura della moralità e degli affari religiosi, nonché l’amministrazione della giustizia. Il compromesso, che avrebbero in parte seguito anche i suoi successori, parve la soluzione migliore per tutti, e il suo principato iniziò sotto gli auspici migliori.

In effetti il cambiamento epocale che era iniziato, a ben vedere, con la creazione di eserciti sempre più legati ai loro comandanti, fin dall’epoca di Mario e Silla, aveva ormai raggiunto la completa maturazione. I territori dell’impero, di smisurata estensione, avevano bisogno di un capo militare che si occupasse esclusivamente della sicurezza dei confini, ed eventualmente di alcune operazioni di espansione. Per tutti gli altri affari, occorreva prevedere un altro organo politico: il senato, all’epoca, che ancora voleva e poteva mantenere una dignitas e una capacità d’azione notevoli. Successivamente la burocrazia, che con un sistema capillare – che nei secoli si sarebbe trasformato in vero e proprio sistema ereditario e feudale – avrebbe garantito l’espletamento del potere esecutivo a livello civile e politico. Tutto ciò, ovviamente, non era a quei tempi così chiaro: l’equilibrio, nell’immaginario collettivo, era ancora quello tra princeps e senatus, anche questo, tuttavia, un fenomeno destinato a durare quasi due millenni nella storia europea, trasformandosi, praticamente di lì a un paio di secoli, nel conflitto politico-militare che opporrà le grandi famiglie della nobiltà e il loro potere centrifugo al potere centrale e centripeto della figura del monarca: anche in questo modo, nella lunga durata, va letta la storia dell’Europa medievale e moderna.  

Tra i provvedimenti voluti da Traiano, e fatti eseguire a Roma da Adriano, vi è un nuovo grande programma edilizio di consolidamento di strade e porti: in particolare tre nuovi grandi porti a Fiumicino, a Civitavecchia e ad Ancona. Ma anche Biblioteche: una greca e una romana. Ancora: la prima legge di cui si ha notizia per il sostentamento dei bambini orfani (institutio alimentaria), un sistema di prestiti agevolati per i piccoli proprietari terrieri italici e un programma di colonie da fondare in tutta Italia. 

Plinio il giovane, ma anche Tacito, furono entusiasti del nuovo imperatore, e lo omaggiarono, in modo più o meno enfatico, per le sue virtù. Plinio, che da lui era stato innalzato alla carica di console, gli dedicò anche un panegirico, tratteggiando quella figura di optimus princeps che era, del resto, nella tradizione del pensiero politico (e filosofico) greco, fin dai tempi dell’ateniese Isocrate, di Platone e di Aristotele, e che era passata nell’immaginario romano attraverso la filosofia del secondo stoicismo di Panezio e Posidonio. 

Dopo un primo breve soggiorno a Roma, tra la fine del 99 e il 100, Traiano decise di ripartire per i confini danubiani: aveva in progetto, da tempo, quella che sarebbe stata una delle sue più grandi imprese: la conquista e romanizzazione della Dacia (attuale Romania). Il re Decebalo, in effetti, rappresentava un pericolo ingente fin dai tempi di Domiziano. I Daci, popolo fiero e battagliero, vivevano in un territorio ostile, e le loro scorrerie mettevano in difficoltà, spesso, le popolazioni germaniche alleate dei Romani, provocando reazioni a catena in tutta l’area. I preparativi durarono quasi un anno, per raccogliere informazioni sul territorio da invadere e organizzare l’esercito e tutti gli equipaggiamenti necessari, macchine belliche e provviste. 

Il 25 marzo del 101, finalmente, Traiano lasciò Roma con un esercito poderoso di 150mila uomini, insieme ai suoi più valenti generali, tra cui Adriano. Giunto sul Danubio all’inizio dell’estate, Traiano fece costruire un grandioso ponte, grazie all’apporto del famoso architetto Apollodoro di Damasco, mentre i Daci si ritiravano sulle montagne. I Romani penetrarono senza resistenza nel territorio dacico, e solo in agosto affrontarono per la prima volta il nemico, a Tape. Qui Traiano ottenne un successo, ma i Daci si ritirarono ancora nell’entroterra. 

Dopo l’inverno, Decebalo si alleò con i Sarmati e decise di aggirare i Romani invadendo a nord la Mesia. Traiano, a tappe forzate, li raggiunse e li sconfisse in una grande battaglia, nel marzo del 102. Riprese quindi l’avanzata in Dacia, arrivando a pochi chilometri dalla capitale di Decebalo, che finalmente si arrese, mantenendo però il potere su una parte importante di territorio. Traiano tornò a Roma e celebrò il trionfo, assumendo l’appellativo di Dacicus. L’enorme bottino riportato a Roma costituì per anni una risorsa fondamentale per le casse dello stato.

L’imperatore fu a Roma per un paio d’anni e si dedicò ad opere di bonifica e di edilizia: fece alzare il livello della via Appia nelle paludi pontine, e realizzò la costruzione di un’importante Biblioteca giuridica. Gli studi sul diritto, proprio in quel tempo, vedevano un enorme fioritura, proprio perché stava nascendo quella che sarebbe divenuta di lì a poco una burocrazia imperiale. 

Risale a quegli anni, probabilmente, la spedizione di un’ambasceria oltre i confini del mondo allora conosciuto, oltre i Parti e l’India, fino alla Cina, ove gli emissari di Traiano furono ricevuti dagli imperatori della dinastia Han. Ma Traiano aveva ancora in mente di assoggettare tutta la Dacia. Così preparò un’altra campagna militare, ancora più imponente della precedente.

L’occasione fu offerta dal comportamento scorretto di Decebalo, che invase alcuni territori della Mesia. Traiano partì nel giugno del 105, contando su 200mila soldati. Dopo aver riconquistato faticosamente i territori invasi dai Daci, Traiano piombò sulla capitale e, dopo un sanguinoso assedio, la espugnò. Decebalo fuggì sulle montagne, ma una volta raggiunto dagli inseguitori, si suicidò. Traiano aveva conquistato una nuova provincia romana, la Dacia. Tutte le vicende delle due campagne militari furono scolpite sui bassorilievi di una colonna onoraria, la colonna Traiana, posta al centro di un nuovo Foro progettato da Apollodoro di Damasco, e concluso a nord da enormi magazzini di mercato che davano sistemazione razionale a centinaia di attività commerciali, i Mercati Traianei. Per celebrare le sue imprese Traiano fece erigere, in molte città dell’impero, archi trionfali che ancora oggi portano il suo nome. 

Per almeno cinque anni egli si dedicò all’amministrazione dell’impero, alla fondazione di nuove città e a scegliere il suo successore, che – si era capito da tempo – sarebbe stato il nipote Publio Elio Adriano. Il suo sogno però, nonostante avesse superato i sessant’anni, era quello di ogni grande condottiero d’Occidente: conquistare l’Oriente. Crasso era morto contro i Parti, Cesare aveva progettato la spedizione ma la congiura lo aveva fermato; neanche sotto Augusto e i Flavi quel regno, l’antico regno di Persia, era stato mai assoggettato. L’unico che aveva sconfitto quei popoli era stato, cinque secoli prima, Alessandro Magno. Traiano progettò nei minimi dettagli la spedizione. 

Dal 112 al 115 si stabilì ad Antiochia, da dove poté effettuare sopralluoghi e indagini più precise. Poco mancò, nel 115, che rimanesse vittima di un tremendo terremoto che aveva devastato la regione. All’inizio del 116, costruito un grande ponte sull’Eufrate, diede il via alle operazioni. Puntò diritto sulla capitale dei Parti, Ctesifonte. La assediò, la costrinse alla resa, e quando il re Vologese fuggì verso le steppe afghane, marciò verso Babilonia, dove entrò vincitore nel 116. Era arrivato dove solo il grande Alessandro era giunto. Dopo duecento anni, i Parti erano sconfitti. Traiano aveva portato l’estensione dell’impero al punto più alto mai raggiunto: oltre 4,5 milioni di km quadrati. A Babilonia celebrerà il trionfo, insieme ai suoi soldati, acclamato Marco Ulpio Nerva Traiano Cesare Augusto Dacico Partico. 

La sorte, tuttavia, non avrebbe concesso di più al grande imperatore, che non sarebbe più tornato a Roma. Nell’estate del 117, mentre era ancora intento a rinsaldare i territori appena conquistati, lo colsero febbri violente, e l’8 agosto, preso da malore, morì. 

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