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Quasi all’estremità di una piccola penisola che costituisce l’ultimo lembo della Grecia continentale prima del Peloponneso, cioè la penisola dell’Attica, riparata a est dalla grande isola dell’Eubea, Atene è collocata in una posizione certamente strategica, che le ha consentito, nel corso dei millenni, di poter guardare sia al mare, sia all’interno. Il territorio della penisola non è pianeggiante, né fertile, ma quasi tutto collinare: di qui, forse, viene il nome “Attica” e il più antico “Atte”: ἀκτή, in greco, significa infatti “cima”, ma anche “promontorio” o “costa”. Quattro catene montuose che chiudono la vallata dove scorrono i due fiumi Cefiso e Ilisso: il monte Imetto a ovest, i monti Pentelici e il Parneto a nord, e i monti Egalei a est. Più piccoli, ma evidenti perché si alzano bruscamente dal suolo, i due ‘colli’ di Atene, il Licabetto, “monte dei lupi” (272 m) e il “monte delle civette” (156 m), fin da Omero noto però come ἀκρόπολις, “città alta”. A pochi chilometri dalla confluenza tra i due fiumi si giunge al mare, il golfo Saronico; subito di fronte, un’isola quasi attaccata alla terraferma, Salamina; poco oltre, Egina. All’estremità della penisola attica vi sono le importanti miniere del Laurion; dalla parte opposta, dietro i monti pentelici, cave di marmo, vi è la pianura di Maratona. In questa situazione l’agricoltura è difficile e limitata, ma, più che la pesca, le genti che l’hanno abitata hanno praticato l’olivicoltura e, soprattutto, l’artigianato.

Gli Ateniesi, fin dalle nostre prime testimonianze scritte, ritenevano di essere tra i più antichi abitanti di tutto il mondo greco, cioè di aver “da sempre” abitato l’Attica: è il mito dell’“autoctonia”, di cui vanno molto orgogliosi. L’archeologia, come spesso accade, ha confermato i racconti degli Ateniesi.

Le ultime scoperte negli scavi condotti sulle pendici dell’acropoli hanno rivelato che questo monte era abitato fin dal V millennio a.C. Sono stati ritrovati vasi, coppe, pettini, spille e persino specchi in bronzo databili al 3000 a.C. Le genti che popolano in questo periodo l’Attica (che ovviamente non si chiama così) non appartengono ancora all’etnia greca, ma alle precedenti popolazioni che colonizzarono anche Creta. Dal secondo millennio a.C. arrivano i primi gruppi dell’etnia greca, achei e ioni. Le ceramiche e gli oggetti si fanno più elaborati, e la collina dell’acropoli si cinge di mura imponenti, come le altre città della cultura che chiamiamo ‘micenea’. Non troviamo tracce di incendi o di distruzioni né alla fine del millennio, cioè all’età della guerra di Troia, né nei primi tre secoli del primo millennio. La città che già si chiama Atene, tuttavia, non sembra molto potente né troppo famosa: nei poemi omerici nessun eroe importante viene da Atene. Eppure i miti che gli Ateniesi proiettarono in queste età così remote sono numerosi e collocano i protagonisti ben prima dell’età di Achille e Odisseo.

Nell’immaginario mitico, il forte legame con la terra attica era sottolineato fin dalla primissima figura di sovrano che, si raccontava, aveva abitato la regione. Si trattava di Cècrope, uomo nella parte superiore del corpo, serpente in quella inferiore. Il serpente, come ci insegna la comparazione antropologica, è uno degli animali più collegati alla terra e al sottosuolo, simbolo misterioso di immortalità. Cècrope era nato direttamente dalla terra, e aveva sposato la   figlia di un’altra figura simbolica, Atteo, il “sovrano dei monti”. L’orgoglio degli Ateniesi si manifesta fin da questi primi miti che li riguardano. Cécrope infatti è protagonista di un episodio importante: Atena e Poseidone erano entrambi innamorati di quella bellissima penisola, e volevano essere, ognuno, la divinità a cui sarebbe stata consacrata. Così decisero di offrire un dono ciascuno alla regione: Cécrope avrebbe dovuto scegliere quale fosse il migliore. Si diedero appuntamento sull’acropoli: Poseidone, con un colpo di tridente, fece zampillare una sorgente; Atena però fece spuntare dal suolo un ulivo. Cècrope scelse il dono di Atena, e da quel momento la città sarebbe stata per sempre legata alla dea, così come, fuori dalla simbologia del mito, l’economia della regione sarebbe stata legata all’olivicoltura, piuttosto che al mare. La propensione artigiana delle genti ateniesi emerge anche da un’altra antichissima figura, che diviene, nel mito greco, il simbolo della tecnica e dell’arte: Dedalo. Dedalo, infatti, è figlio di una delle figlie di Cècrope. Ma la ‘dinastia’ di Cècrope non è destinata a regnare a lungo. 

La successiva dinastia di mitici sovrani di Atene vede ancora protagonista la dea Atena. Recatasi in visita da Efesto, la dea viene quasi aggredita dal fratello, che vorrebbe farla sua: non ci riesce, ma una goccia della sua forza vitale sfiora la gamba della dea, e cade a terra. Nuovamente, dal suolo, nasce un altro essere metà uomo e metà serpente, Erittònio. Atena lo dà da custodire, in una cesta, alle figlie di Cècrope, ma queste, aperta la cesta, si spaventano e si gettano dall’acropoli. Erittònio diverrà così il successore di Cècrope, sposerà Prassìtea, una ninfa, e genererà Pandìone. Da Pandìone nascerà Erettèo: a lui il mito attribuisce molte guerre, intraprese per consolidare il potere della città nella regione attica. Suo successore è il figlio, che si chiama anche lui Cècrope e che a sua volta lascia il potere all’unico suo figlio, un altro Pandìone. Costui ha due figli, Ègeo e Pallante. Alla sua morte il potere passa al maggiore, Ègeo, ma costui non riesce ad avere figli, mentre il fratello minore, Pallante, ha nel tempo generato ben cinquanta figli. Cronologicamente, questa generazione di eroi e figure mitiche appartiene a quella precedente alla guerra di Troia.

Ègeo si reca dall’oracolo di Delfi, per avere un vaticinio sulla sua discendenza. L’oracolo, con parole misteriose, gli ordina di non avere rapporti con nessuna donna prima di tornare ad Atene. Ma Ègeo non lo comprende. Si reca così dal re di Trezène, una cittadina vicina ad Atene, ma nel Peloponneso. Qui regna Pìtteo, un grande sapiente, capace di sciogliere anche i più difficili enigmi. Pìtteo, peraltro, è fratello della nonna materna di Eracle. Pìtteo comprende le parole della Pizia, ma non lo rivela ad Ègeo, e lo fa ingannevolmente unire alla propria figlia, Etra. Ègeo, lasciata una spada come segno di riconoscimento che potrà vantare l’eventuale frutto di quell’unione, tornando ad Atene incontra Medea, in fuga da Corinto, e le offre ospitalità ad Atene, dove diviene, di fatto, regina al suo fianco.

Etra, nel frattempo, ha partorito il suo bambino, che cresce forte e intelligente: il suo nome è Teseo.  Una volta divenuto adolescente, la madre gli mostra la spada e gli rivela di chi è figlio, e Teseo decide di lasciare Trezène per farsi riconoscere dal padre, e ottenere così il trono dell’attica. Durante il percorso da Trezéne ad Atene, Teseo, giovanissimo, sconfigge numerosi briganti che infestano la zona: una caratteristica ricorrente in tutte le figure di eroi in qualche modo ‘fondatori’, come appunto sarà Teseo e come è già, a quel tempo, il cugino di Teseo, Eracle.

Quando giunge ad Atene, trova una situazione di decadenza: la città è succube di Minosse, re di Creta, che la obbliga a tributi e sacrifici. Nel palazzo del re Medea ha preso il sopravvento sull’anziano Ègeo, mentre il fratello di lui, Pallante, trama nell’ombra per prendere il potere. Teseo, senza essersi fatto ancora riconoscere, viene ospitato a banchetto. Medea, che ha capito chi ha di fronte, pensa di avvelenarlo con una pozione magica, convincendo Ègeo che si tratta di un impostore. Ma appena Teseo estrae la spada e rivela di essere figlio del re, Ègeo comprende tutto e corre ad abbracciarlo, rovesciando in terra la pozione di Medea, che fuggirà sdegnata. Ègeo e Teseo iniziano a regnare insieme, e tra le prime imprese del giovanissimo principe è la lotta con un toro gigante che infesta la pianura di Maratona. Teseo parte per affrontarlo da solo, ma un temporale lo sorprende lungo la strada; il giovane si rifugia nella casetta di una vecchia, Ècale, che lo ospita. Riposato, la mattina seguente Teseo affronta il toro e lo uccide; tornando dalla vecchietta, viene a sapere che è morta, proprio quel giorno, così istituisce per lei un culto dell’ospitalità.

L’impresa più difficile per Teseo è però quella con il minotauro. Minosse, infatti, ha imposto da anni un tributo ad Atene: sette ragazzi e sette ragazze  che divengono, giunti nell’isola, schiavi di corte, o, nelle versioni più crudeli del mito, pasto per il minotauro. Teseo decide di porre fine a questa sottomissione e salpa alla volta di Creta: il padre Ègeo gli dà due vele, una nera e una bianca: al suo ritorno, la nave dovrà issare quella che farà capire come sia andata l’impresa. Sbarcato a Creta Teseo incontra Arianna, la figlia di Minosse, che si innamora di lui e escogita il famoso stratagemma per poter entrare e uscire dal labirinto, la prigione ove è rinchiuso il minotauro, costruita, peraltro, dall’ateniese Dedalo. Teseo affronta la mostruosa creatura, la uccide, libera i quattordici ragazzi e pone fine alla sottomissione. Prende Arianna con sé e salpa per tornare ad Atene. Ma, quando giungono nell’isola di Nasso, Arianna viene abbandonata mentre dorme. Al suo risveglio, compreso l’inganno, maledice Teseo furiosa: interverrà a placarla, e a farla sua, secondo alcune fonti, il dio Dioniso. 

Teseo sta per arrivare ad Atene, ma dimentica di innalzare la vela bianca, segno di riuscita, al posto della nera, segno di disfatta: Ègeo, preso dallo sconforto mentre avvista la nave, si getta nel mare che prenderà il suo nome. 

Teseo diviene dunque re della città e concepisce il progetto di unificare in una sola grande realtà civica tutti i diversi villaggi del territorio. È il sinecismo (σύν οἰκέω) che dà vita alla vera e propria Atene, come la conosciamo in età storica. Per ricordare questo evento, Teseo stesso fonda una festa, detta Panatenee, nella quale si celebra l’unità della regione; è la festa più importante dell’Attica, ricordata da tantissimi autori e rappresentata nel bassorilievo che corre per 160 metri nella cella sacra all’interno del Partenone, opera di Fidia.

Teseo, fondata questa nuova grande città, vuole condividere il potere con i suoi cittadini. Secondo il racconto di Plutarco, che ha dedicato all’eroe ateniese una biografia, Teseo riserva ai nobili l’elezione di un consiglio di anziani che prende insieme a lui le decisioni, e agli altri cittadini concede uguali diritti. 

Il regno di Teseo, tuttavia, non è felice, anche per le faccende private che lo riguardano. Una nuova impresa lo vede infatti protagonista lontano dall’Attica, sulle rive del Mar Nero: qui Teseo si reca per impadronirsi di nuovi territori e nuove merci. Nel mito, probabilmente, è già rispecchiato l’espansionismo ateniese verso il Mediterraneo orientale durante la cosiddetta ‘prima colonizzazione’, alla fine del secondo millennio. Teseo deve però sconfiggere un popolo particolare, che rappresenta l’alterità più strana e marcata, per i tempi: un popolo di sole donne, comandate da una regina, che uccide o rende schiavi tutti i maschi, impiegandoli solo per avere figli: sono le Amazzoni, guidate da Antìope. L’eroe riesce a far fronte alle accanite guerriere e rapisce Antìope, affascinato dalla sua bellezza, portandola poi con sé ad Atene. Da lei Teseo ha un figlio, di nome Ippolito. Ma le Amazzoni si riorganizzano, varcano l’Ellesponto e marciano contro Atene, cingendola d’assedio. Solo a fatica Teseo e il suo esercito riescono a sconfiggerle; anche Antìope, nel combattimento, trova la morte. 

Forse in ragione della nuova egemonia, questa volta ateniese su Creta, il successore di Minosse, Deucalione, offre in sposa a Teseo la sorella, Fedra, sorella peraltro anche di Arianna. Teseo accetta e sposa la Cretese, dalla quale ha due figli: Acamànte e Demofònte. Nel frattempo, però, Ippolito è cresciuto, e Fedra, presa da un desiderio proibito, si innamora di lui. Lei, o in altre versioni, una sua ancella, rivelano l’amore al ragazzo: ma costui rimane inorridito dalle proposte della moglie di suo padre, e fugge. Fedra, sconvolta, scrive una lettera al marito, ove accusa Ippolito di averle fatto violenza, e poi si toglie la vita impiccandosi. Quando Teseo viene a sapere della sua morte, legge la lettera, crede alle sue parole, e maledice il figlio, chiedendo a Poseidone di provocare la sua morte. Così, mentre Ippolito fugge da Atene, lungo la spiaggia, un mostro emerge dal mare e lo uccide facendo strazio del suo corpo. Solo allora Afrodite svelerà la verità a Teseo, che si pentirà di aver causato la morte del figlio. 

Teseo, rimasto di nuovo senza moglie, decide, benché già avanti con gli anni, di trovare una nuova sposa. Ha sentito dire che è nata, nel Peloponneso, colei che sarà destinata a diventare la più bella di tutti i mortali. Il suo nome è Elena, figlia di Tíndaro, e sorella di Castore e Polluce. Elena è ancora solo una bambina, ma Teseo vuole rapirla e portarla ad Atene. Così chiede aiuto ad un amico, Piritòo, e insieme si recano a Sparta, raggiungono Elena mentre si trova nel tempio di Artemide, e la rapiscono, portandola ad Atene. Teseo la chiude in un nascondiglio, ma i Dioscuri, Castore e Polluce, marciano contro Atene per riportarla in patria, e sconfiggono Teseo. Liberano Elena e la riconducono a Sparta: anche a questo episodio, bisogna ricordare, è legata la tradizionale ostilità tra Sparta e Atene.

L’eroe, sconfitto, deve però aiutare, ora, Piritòo, anche lui in cerca di una sposa: anche Piritòo vuole rapire una ragazza particolare: Persefone, sposa di Ade. Così insieme a Teseo scende negli inferi e va in cerca di Persefone, ma Ade scopre i due e li imprigiona. Eracle allora corre in soccorso del cugino Teseo, scende negli inferi e lo libera. Ma al suo ritorno in patria l’eroe trova sul trono Menésteo, un altro discendente di Cécrope, al quale i Dioscuri hanno dato il potere. Teseo deve lasciare Atene, insieme ai suoi figli, che di lì a pochi anni parteciperanno alla guerra di Troia. L’ex re, fondatore della grande Atene, andrà in esilio in una piccolissima e brulla isola, Sciro, dove morirà, in circostanze misteriose. 

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