Il risultato più importante delle leggi e delle riforme di Solone fu il passaggio da una società chiusa, divisa in classi stabilite per nascita, ove i nobili, gli εὐπατρίδεις “dai buoni padri”, avevano il potere ‘per diritto di nascita’ e tutti gli altri ne erano esclusi, ad una società aperta, nella quale, partendo da diritti più o meno uguali per tutti, chi fosse riuscito ad acquistare una posizione economica rispettabile avrebbe potuto partecipare al potere politico. Già Aristotele ricordava una statua, eretta sulle pendici dell’acropoli, raffigurante un cavaliere; l’iscrizione della statua affermava: “Antemione, figlio di Difilo, dedicò questa statua agli dèi,/ per essere passato dal censo dei teti a quello dei cavalieri”. Un documento straordinario della conquista sociale e politica promossa da Solone, che, se anche ai nostri occhi attuali sembra oggi riduttiva, era per l’epoca eccezionale.

Solone non aveva però considerato gli sviluppi ulteriori, economici e sociali, del mondo greco, e in particolare ateniese, che era caratterizzato da grandissimo fermento. La situazione in città, infatti, intorno agli anni settanta del secolo, si andava catalizzando in tre fazioni rivali, ove si sovrapponevano livelli sociali e geografici. Non va dimenticato, infatti, che Ἀθῆναι non era altro che un grande conglomerato di villaggi, borghi, quartieri e piccole cittadine riunite dal sinecismo attribuito a Teseo: ognuna di queste realtà, chiamate δῆμοι, “demi”, manteneva però gelosamente una propria identità, soprattutto a seconda del territorio in cui era posta; queste differenze, tra l’altro, continueranno a pesare per secoli nella storia ateniese, almeno fino all’età ellenistica.

Nei demi della costa, che si affacciavano sul mare, vivevano soprattutto commercianti e pescatori; a guidare le loro rivendicazioni si era posto Mégagle, appartenente come si è visto al γένος degli Alcmeónidi. Avevano posizioni moderate.

I demi della pianura, popolati da contadini e dai grandi proprietari terrieri, erano quelli più conservatori, legati da rapporti di clientela ai grandi γένη aristocratici.

Una terza fazione era quella dei demi di montagna, dove vivevano pastori, caprai e boscaioli, ma anche la maggior parte dei θῆται: erano i più propensi a favorire cambiamenti politici, insoddisfatti delle poche concessioni della riforma soloniana. Li capeggiava, a quel tempo, un lontano cugino di Solone, ma di una generazione più giovane, di nome Pisistrato. 

Pisistrato, poco più che trentenne, aveva combattuto con grande valore nella guerra contro Mègara per il possesso di Salamina, facendosi notare. Spesso scambiava, in pubblico, battute con Solone, il quale lo rimproverava di essere troppo impetuoso e ambizioso. Ma Pisistrato era amabile nel parlare, aiutava i poveri con prestiti ed era sempre più stimato da gran parte dei cittadini. Si era in tal modo attirato, tuttavia, anche il risentimento di altri, soprattutto appartenenti alla fazione conservatrice, che lo vedevano come un pericolo.

Sfruttando questa situazione – secondo la maggior parte delle fonti – intorno al 561 a.C. Pisistrato si presentò un giorno in assemblea dopo essersi volontariamente ferito, affermando di esser stato vittima di un attentato. L’assemblea gli concesse così una guardia del corpo. Ma pochi giorni dopo, proprio alla testa di quel drappello di uomini armati, Pisistrato occupò l’acropoli, sospese le magistrature e si proclamò tiranno. Migliaia di teti scesero dalle montagne e si schierarono con lui. Solone, ormai ottantenne, appese le armi alla porta della propria casa e affermò di aver per troppi anni difeso la sua patria: altri, ora, lo avrebbero dovuto fare. Pisistrato, tuttavia, intraprese una politica moderata di apertura alle classi più emarginate, senza toccare la legislazione soloniana. Dopo sei anni, però, le opposizioni si organizzarono: Mègagle si mise a capo delle altre due fazioni e riuscì a cacciare Pisistrato in esilio. Per dieci anni Pisistrato scompare dalla scena: incerte sono anche le notizie su dove si sia recato in esilio. In un giorno imprecisato del 546 a.C., tuttavia, per le strade di Atene si diffonde la voce che la dea Atena in persona sta riconducendo Pisistrato in città, e vuole che gli Ateniesi lo riprendano per tiranno. Sulla via che porta in città dal nord arriva un cocchio adornato di fiori: a guidarlo è una donna bellissima, altissima e bionda con scudo e lancia; al suo fianco c’è Pisistrato, che ad un tratto scende prontamente e viene acclamato tiranno. Gli storici posteriori insinuano il dubbio che sia stato proprio Mègacle, viste le difficoltà politiche in cui è ripiombata la città, a richiamare in patria Pisistrato e ad architettare con lui lo stratagemma, facendo giungere dalla Tracia una donna di aspetto non comune per l’immaginario greco. In cambio, Mègacle ha chiesto a Pisistrato di sposare la figlia; il tiranno acconsente, ma l’unione non è felice, e anzi mina ancor di più i rapporti tra i due politici. Passano ancora sei anni e di nuovo Mègacle, alla testa di un drappello di aristocratici, esilia Pisistrato e i suoi figli da Atene. Questa volta tuttavia la riconquista del potere da parte del tiranno non tarda ad arrivare. Aiutato dai tiranni di Tebe e di Nasso, Pisistrato sconfigge gli aristocratici alla periferia di Atene. Tutti i γένη nobiliari vengono disarmati e Pisistrato si insedia sull’acropoli instaurando un governo piuttosto stabile. 

La politica di Pisistrato è, si direbbe oggi, quella di un ‘tiranno illuminato’: Pisistrato favorisce i commerci, ma anche la giustizia. È lui che istituisce dei tribunali popolari itineranti: chi deve risolvere un contenzioso, non deve più recarsi solamente ad Atene, ma può avvalersi dei tribunali locali nelle campagne o nei demi di montagna. Viene coniata una moneta unica per tutta l’Attica, che sostituisce i ‘pezzi’ di argento o d’oro circolanti nei vari territori: è la dracma. 

Inizia anche una politica culturale e architettonica di abbellimento della πόλις. Nuovi edifici vengono costruiti, nuove piazze e strade: in tal modo si creano centinaia di posti di lavoro per i teti. In questo quadro si colloca anche la nuova politica culturale. Già ai tempi di Solone abbiamo notizia di compagnie di artisti itineranti che ‘recitano’ scene incentrate su miti legati al culto di Dioniso. Il più famoso è Tespi, ateniese, che percorre i demi dell’Attica con i suoi spettacoli. Nel 535 a.C. Pisistrato, per la prima volta, invita Tespi a recitare un suo spettacolo nell’ambito delle feste in onore di Dioniso che si celebrano in primavera, le Dionísie. Da quell’anno diversi artisti – autori, attori e drammaturghi insieme – inizieranno a ‘sfidarsi’ con proprie opere che avranno come contenuto i miti degli dèi e degli eroi: stava nascendo il teatro greco, che è alla radice di tutto il genere teatrale occidentale. 

Per la prima volta, inoltre, Pisistrato fa redigere un testo ‘ufficiale’ dei due poemi omerici, fissando così una redazione fra le diverse e incomplete che circolavano a quel tempo, ancora tramandate, per la maggior parte, oralmente.

Insieme a Pisistrato, ormai ultrasettantenne, iniziano a governare anche i suoi due figli, Ippia e Ipparco. Il primo è più interessato alle questioni di governo; il secondo, invece, sviluppa ancor di più la politica culturale del padre: chiama ad Atene due dei più famosi poeti del tempo, Anacreonte e Simònide, entrambi originari di due isole ioniche dell’Egeo. Il primo, Anacreonte, è poeta soprattutto di carmi lirici da recitare in occasioni festive e in banchetti. Il secondo, Simònide, è poeta versatile: compone canti per i vincitori di giochi negli agoni, ma anche splendidi epitaffi. 

Ad Atene si dice che sia tornato “il regno di Crono”, i tempi felici della prosperità e della bellezza. All’apice del suo successo, però, a settantacinque anni, Pisistrato si ammala e, in pochi giorni, muore. È il 528 a.C.

Subscribe
Notify of
guest
0 Comments
Inline Feedbacks
View all comments