Cipsèlo, fin dai tempi precedenti la tirannide di Pisistrato, era uno degli aristocratici che vantavano un’origine antichissima del loro γένος: la sua famiglia, così si diceva, discendeva direttamente da Fileo, figlio di Aiace re di Salamina, uno degli eroi più significativi e amati della guerra di Troia. Possedevano da tempo un allevamento di cavalli, di quelli atletici per le quadrighe. Dagli archeologi è stato ritrovato un grande vaso greco a figure rosse, del VI secolo, che reca un’iscrizione dedicatoria di un membro della famiglia, per una vittoria nella corsa dei carri a Olimpia: si tratta di Stesàgora, figlio di Cipsèlo.

Questo Stesàgora aveva due figli  maschi, Cimone e Milziade, tra i più valenti giovani della città. Un giorno, mentre si riposava nell’agorà, Milziade vide passare davanti a sé degli stranieri, della stirpe di un popolo che abitava il Chersoneso tracico, i Dolonci. Provenivano da Delfi, ove avevano chiesto all’oracolo il modo per tornare in possesso delle loro terre, occupate dai Traci; la Pizia aveva loro risposto che, una volta usciti dal tempio, avrebbero dovuto scegliere come capo il primo che avesse loro offerto ospitalità: solo così avrebbero potuto riconquistare la loro terra. Avevano vagato da Delfi ad Atene, erano stanchi e logori. Milziade, appena li vide, si alzò e li invitò a casa sua per rifocillarsi.

I Dolonci, ristoratisi, gli rivelarono l’oracolo. Milziade, così, accettò di farsi loro capo. Scelse alcuni altri giovani ateniesi, giunse in Tracia, e guidò i Dolonci alla vittoria. Lo elessero così tiranno del Chersoneso tracico, che governò per decenni, espandendo i suoi domini anche nelle Cicladi, fino a Lemno. 

La vicenda di Milziade figlio di Stesàgora rivela alcuni elementi storici piuttosto chiari: la propensione della famiglia per la conquista, la scelta di allearsi anche con popoli non greci per raggiungere il potere, la caratteristica dell’ospitalità e della liberalità, segno distintivo delle grandi famiglie aristocratiche.

L’altro figlio di Stesàgora, Cimone, era rimasto ad Atene: ma i suoi rapporti con Pisistrato erano andati via via peggiorando: la rivalità tra clan aristocratici era fortissima e Pisistrato aveva, alla fine, costretto Cimone all’esilio. I suoi due figli, Stesàgora (come il nonno) e Milziade (come lo zio), ancora molto giovani, avrebbero corso lo stesso rischio. Morto Pisistrato, Milziade il giovane tentò un riavvicinamento alla famiglia dei tiranni, chiedendo in sposa la figlia di Ippia. 

Nel 518 a.C., intanto, era morto lo zio Milziade il vecchio: dal Chersoneso avevano invitato Stesàgora, il primogenito di Cimone, a prendere il suo posto. Stesàgora, così, si era recato nel Chersoneso, ma era stato ucciso a tradimento da alcuni nobili locali, che bramavano anch’essi il potere. La notizia era arrivata ad Atene, a Milziade il giovane, che aveva a questo punto deciso di lasciare la città e andare a riconquistare il potere in Chersoneso. Con un inganno, attirò tutti i nobili in una festa, nel suo palazzo, con il pretesto di una riconciliazione. Quindi, fatte chiudere tutte le uscite, li fece giustiziare dai suoi soldati. 

Ma Milziade voleva governare quelle genti non greche stringendo legami più saldi. Così ripudiò la figlia di Ippia e sposò una principessa tracia, figlia del re Oloro, di nome Egesipile, nel 515 a.C. Per  venti anni esatti Milziade era rimasto nel Chersoneso tracico, tiranno felice e potente. Aveva aiutato Istièo a conquistare alcuni possedimenti nell’alto Egeo, aveva avuto rapporti di alleanza anche con Dario I di Persia. 

Quando Aristagora gli aveva chiesto aiuto per la rivolta della Ionia, gli aveva inviato alcuni rinforzi. Per tale motivo era entrato anche lui nella ‘lista nera’ di Dario e di Artaferne: sconfitti i rivoltosi, nel 498 a.C., si stava preparando anche per lui la ritorsione dei Persiani. 

Dopo tre anni di preparazione, piani militari e alleanze strategiche, la spedizione punitiva di Dario era infatti pronta. Il re dei re l’affidò ai suoi due più fidi generali: il fratello Artaferne, satrapo di Lidia, e il genero Mardonio. Tra i primi atti vi fu proprio la punizione per chi aveva aiutato i rivoltosi ionici, a cominciare da quella che doveva essere una base strategica per passare, poi, nella Grecia continentale, cioè l’alto Egeo. Il Chersoneso fu attaccato dagli Sciti, alleati di Dario. Milziade fece appena in tempo a imbarcarsi, con la famiglia e con una notevole parte di ricchezze, su cinque triremi, e dirigersi in tutta fretta verso Atene. A metà strada, però, gli piombò contro una flotta fenicia, anch’essa vassalla dei Persiani: Milziade riuscì a mettersi in salvo con quattro navi, ma una fu catturata: a bordo vi era il figlio Metioco, che fu fatto prigioniero e fu spedito a Susa da Dario. 

All’inizio del 494 a.C., l’ira di Dario e Artaferne colpì Mileto: la città fu saccheggiata, incendiata e rasa al suolo, gli uomini in gran parte uccisi, le donne e i bambini venduti come schiavi. Doveva essere una punizione esemplare, e così fu. La distruzione di Mileto ebbe vastissima eco in tutta la Grecia, in particolare ad Atene, che si aspettava, di lì a poco, una spedizione anche contro di lei. Uno dei primi tragediografi di cui abbiamo notizia, Frínico, fece rappresentare un dramma intitolato La presa di Mileto, ove metteva in scena la sofferenza dei milesii e la cupa preoccupazione per il futuro di Atene.

L’anno successivo arrivò il momento della spedizione persiana verso la Grecia continentale. Mardonio aveva allestito una flotta imponente: 300 navi e 20000 uomini. Partiti da Efeso, costeggiarono tutta l’Anatolia, le isole dell’alto Egeo, ma arrivati all’altezza del monte Athos, la punta più preminente della penisola Calcidica, furono investiti da un insolito e rovinoso nubifragio. Perse la metà delle navi, Mardonio fece ritorno alla base: la Grecia per il momento era salva. Nelle raffigurazioni della ceramica attica di quel tempo troviamo il vento Borea, vittorioso, che sconfigge i Persiani.

Mardonio, tuttavia, aveva allestito anche un altro esercito, di terra. Con esso, sempre nel 493 a.C., era giunto attraverso la Tracia alle porte della Grecia, in Macedonia. Qui la dinastia regnante aveva fatto atto di sottomissione, consegnando, come voleva la tradizione, un vaso di terra e uno di acqua agli emissari del gran Re. Anche altre città della Tessaglia e della Grecia del nord fecero lo stesso. Alla fine dell’anno, il potere di Dario era ormai giunto ad un centinaio di chilometri da Atene.

In città, intanto, il ritorno di Milziade, ex tiranno del Chersoneso, aveva scompaginato le due fazioni tradizionalmente avversarie nella politica ateniese, i conservatori e i democratici più radicali. Milziade appariva una figura super partes, godeva di grande prestigio: fu eletto arconte per il 492, e come primo atto guidò Atene alla conquista della piccola isola di Egina, che si era anch’essa sottomessa ai Persiani. La situazione era critica: una base persiana a cinque km di mare da Atene sarebbe stata, infatti, la sicura rovina della città. La guerra fu combattuta aspramente dagli Egineti, ma, dopo sanguinosi scontri, Atene ebbe la meglio. 

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