Nato nel 115 a.C. in una famiglia nobile, ma frugale, Crasso si era procurato ben presto la fama di persona avida. Fin da giovane si era dedicato all’usura e durante le proscrizioni, già nell’88-87 a.C., si era arricchito con i soldi dei cittadini mandati a morte. Aveva investito il suo patrimonio in speculazioni edilizie: era divenuto in poco tempo il più importante e influente ‘palazzinaro’di Roma antica. Sue erano le insulae più grandi, ma anche più precarie, della città, ove si ammassavano migliaia di cittadini. Accanto a questi suoi aspetti, non passava in secondo piano un altro suo lato famoso: la superstizione. Coltivava, accanto alle speculazioni, anche la carriera di oratore, con grandi riscontri, come ci dicono le testimonianze del tempo: era considerato tra i migliori avvocati di Roma.

Fin dagli anni ottanta aveva simpatizzato con la parte degli optimates ed aveva partecipato anche agli scontri di Porta Collina. Ma il suo impegno politico era unicamente finalizzato agli affari e, durante gli anni sillani, aveva potuto godere dell’amicizia del dittatore senza scendere direttamente in campo. 

Alla metà degli anni settanta, tuttavia, aveva dovuto trovarsi un altro ‘protettore’, e iniziava sempre più ad appoggiare Pompeo. Nel 72 a.C. era stato eletto pretore, una carica che – più che altro – gli consentiva di arginare i numerosi processi di corruzione in cui sarebbe potuto incappare. 

Da propretore, per ottenere visibilità, chiese che gli venisse affidato il compito di  reprimere la rivolta degli schiavi, che ormai da due anni scorrazzavano per l’Italia meridionale. Si erano arroccati, da qualche mese, sui promontori imprendibili della Lucania, tra il Pollino e la Sila.  

Prima che Crasso partisse da Roma con il suo esercito, all’interno del gruppo dei ribelli si erano però create delle divergenze. Tutti e tre i gruppi etnici di schiavi, infatti, volevano tornare nei territori di origine. I Galli e i Germani avrebbero voluto marciare verso nord a piedi, lungo l’Adriatico, per poi varcare le Alpi. I Traci, invece, aspettavano l’arrivo di navi di predoni per mettersi in mare verso la Grecia. Decisero così di separarsi, mossa che sarà fatale. Crisso, al comando dei Galli e dei Germani, si avviò verso l’Apulia del nord. Qui però fu raggiunto dal contingente guidato da Gneo Cornelio Lentulo, che ebbe ragione dei rivoltosi, sterminandoli fino all’ultimo. 

Spartaco, timoroso di essere accerchiato, e informato dell’arrivo di Crasso da nord, si diresse ancora più a sud, fino alla punta del Bruzzio. Giunti sul promontorio di Reggio, gli schiavi aspettarono per settimane l’arrivo di navi di predoni che erano stati contattati, e già pagati, per portarli prima in Sicilia e di lì in Grecia. Ma invano. I predoni avevano tradito Spartaco e ai rivoltosi non restava che tornare verso nord. 

Nel frattempo però Crasso aveva finalmente raggiunto la Calabria superiore, all’altezza dell’attuale Catanzaro. Qui, dove soli trenta chilometri separano lo Ionio dal Tirreno, i genieri dell’esercito romano costruirono, in meno di un mese, un vallo largo cinque metri, per impedire il passaggio dei rivoltosi. Crasso voleva chiudere nella penisola calabra gli schiavi, e prenderli per fame. 

Quando l’esercito di Spartaco raggiunse il vallo, comprese il piano dei Romani. Ma gli schiavi non si diedero per vinti: sacrificandosi a decine, si gettarono nottetempo nel vallo, creando una sorta di terrapieno umano. Le altre migliaia di rivoltosi, passando sui corpi dei loro compagni, riuscirono a superare l’ostacolo. Piombarono sull’accampamento romano di sorpresa e trucidarono migliaia si soldati, increduli per l’accaduto.

Crasso, sulle prime, fu costretto alla ritirata. Ma Spartaco non seppe approfittare della vittoria. Sempre nella speranza di ricevere soccorso dal mare, fece rotta verso Brindisi. I Romani, però, requisirono tutte le navi del porto e pattugliarono il canale per non far giungere aiuti ai rivoltosi. Spartaco allora tornò ancora verso la Lucania: a lui si unirono molti ribelli lucani, da Metaponto alle città sul Tirreno. Tutto era pronto per lo scontro finale: anche Pompeo, infatti, appena tornato dall’Iberia, stava marciando verso la Lucania.

Crasso, tuttavia, come spesso abbiamo visto e notato nella storia di Roma, per non condividere la (presumibile) vittoria in campo aperto con Pompeo, diede ordine di sferrare l’attacco, anche in condizioni atmosferiche proibite, nei pressi della piana del Sele, vicino l’attuale Avellino. La battaglia durò tre interi giorni e Spartaco, stremato, fu infine massacrato da decine di legionari che lo circondarono.

Il suo corpo, narrano gli storici, non fu più ritrovato. Oltre 10mila schiavi, i superstiti degli scontri, furono crocifissi lungo la via Appia, fino a Roma, su ordine di Crasso: per mostrare a tutti che Roma non aveva tollerato la ribellione. Il mito di Spartaco, tuttavia, caricato di significazioni simboliche a volte fin troppo libertarie, è perdurato nei secoli e ha ispirato l’arte, la letteratura, ma anche il pensiero politico e civile di tanti protagonisti della nostra cultura occidentale.

Anche Pompeo, all’altezza di Salerno, aveva avuto il suo ruolo nella vicenda: aveva fermato e trucidato circa 5000 schiavi ribelli che avevano fatto in tempo ad allontanarsi e dirigersi verso Roma. Nell’urbe, dunque, il successo della repressione passò per essere attribuito ad entrambi. Pompeo e Crasso, appoggiati dal senato, posero la loro candidatura, in estate, per il consolato del 70 a.C. E furono eletti entrambi. Pompeo aveva appena compiuto trentacinque anni.

L’anno del consolato non vide, paradossalmente, Pompeo e Crasso impegnati in teatri di guerra, ma fu per entrambi dedicato ad abolire alcune tra le riforme più reazionarie di Silla, soprattutto nel tentativo di cercare nuovamente l’appoggio della classe degli equites. A costoro venne restituito il potere nei tribunali e soprattutto l’appalto delle province asiatiche. Ma il 70 a.C. è un anno importante perché emergono, per la prima volta, le ultime due figure di giganti della storia di questo secolo, entrambe, per aspetti diversi, legate al ‘fantasma’ di Gaio Mario. 

Proprio nel 70 a.C., infatti, viene eletto per la prima volta ad una carica politica un personaggio di antica famiglia nobiliare, ma storicamente vicina alle posizioni dei populares: Gaio Giulio Cesare, nipote di Mario. Sempre nel 70 si svolge a Roma uno dei processi più celebri dell’antichità, quello contro il pretore della Sicilia Verre, accusato dai cittadini romani residenti nell’isola di vessazioni e corruzione. A difenderlo c’è il principe del foro della Roma del tempo, il grande oratore e avvocato dei potenti, Quinto Ortensio Ortalo. Ad accusarlo, in nome dei Siciliani oppressi, un giovane avvocato, concittadino arpinate di Mario: Marco Tullio Cicerone.  

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