Alla morte di Augusto, nel 14 d.C., la situazione costituzionale romana non era mutata. Non esisteva alcun diritto dinastico, ma tutti, ormai, guardavano alla famiglia di Augusto come ad una dinastia. Come scrive Tacito all’inizio degli Annales, opera dedicata alla storia dei principati da Tiberio a Nerone: “A Roma tutto era tranquillo; ricorrevano sempre gli stessi nomi dei magistrati. I più giovani erano nati dopo la vittoria di Azio, e anche la maggior parte dei vecchi nel pieno delle guerre civili: chi ancora restava che avesse visto la repubblica?”.

Richiamato dalla madre Livia in tutta fretta dall’Illirico, ove era in missione militare, Tiberio, che già era stato a fianco di Augusto negli ultimi due anni, giunse a Roma insieme a Livia, alla fine di agosto del 14 d.C.: comunicò la morte del padre adottivo e annunciò che il potere passava nelle sue mani, fregiandosi del titolo di Tiberius Iulius Caesar Augustus. Aveva 56 anni, ed era divenuto l’erede di Ottaviano dopo una lunga serie di morti premature: quella del primo nipote diretto di Augusto, Marcello; quella degli altri due figli maschi di Giulia avuti da Agrippa, Lucio e Gaio; Tiberio era, in realtà, il secondogenito del primo matrimonio di Livia, ultima moglie di Ottaviano: ma anche il primogenito, Druso maggiore, era morto. 

Augusto, tra l’altro, nel 12 a.C., appena un anno dopo la morte del carissimo amico Agrippa, lo aveva fatto divorziare molto controvoglia dalla figlia che Agrippa aveva avuto dal suo primo matrimonio con Pomponia Attica, Vipsania Agrippina, dalla quale aveva avuto un figlio, Druso minore, per farlo sposare, alla ricerca di un’ennesima discendenza diretta, con la figlia Giulia, sua sorellastra: i due avevano avuto un bimbo, sfortunatamente morto, anche lui, dopo pochi giorni. Tiberio, così, si era trovato ad essere il primo aspirante alla successione familiare di quella che stava divenendo, sempre più, una dinastia che univa due gentes antiche e importanti: la Iulia e la Claudia. 

Iniziò a legittimare il suo potere nel sangue. Un ultimo discendente maschio di Giulia, figlia di Ottaviano Augusto, infatti, era rimasto: si trattava di Agrippa, che però era affetto da disabilit, e viveva isolato nell’isola di Pianosa. Tiberio, pochi giorni dopo la sua investitura in senato, lo fece raggiungere da un fidato centurione ed eliminare. L’ultracinquantenne Tiberio aveva una storia, per altri versi, onorevole. 

Alto, corpulento, ma taciturno e introverso, aveva avuto un’educazione più da soldato che da principe. Fin da giovane aveva militato nell’esercito e si era ben presto distinto come valente e umile generale. Dall’oriente alla Pannonia, fino all’Illirico, aveva compiuto numerosissime campagne militari: quasi mai, in effetti, aveva risieduto a Roma, finché, nel 6 a.C., intorno ai trentacinque anni, aveva deciso di ritirarsi a Rodi, per studiare e riposarsi. Era stato Augusto, però, a richiamarlo a Roma, dopo la catena di morti che avevano sempre più reso probabile la successione del figliastro. Augusto lo aveva adottato, ma lo aveva costretto, a sua volta, ad adottare il figlio primogenito del fratello Druso maggiore, di nome Germanico, avuto da un’altra nipote di Augusto, la figlia della sorella Ottavia e di Marco Antonio, Antonia minore (matrimonio, ovviamente, sempre combinato da Augusto). Anche Germanico aveva da subito rivelato grandi doti, coraggio e valore militare. Il solito Augusto, non a caso, lo aveva fatto sposare con l’ultima sua nipote diretta, la quinta figlia di Giulia e Agrippa, Agrippina: una volta tanto, tuttavia, si era trattato di un matrimonio felice: in dodici anni Agrippina aveva dato a Germanico nove figli. Tre erano morti prematuri, ma tre maschi e tre femmine erano in ottima salute. La coppia era, a Roma, sulla bocca di tutti: giovani, belli, famosi e potenti sembravano destinati ad essere i futuri padroni dell’urbe. Le imprese di Germanico sul Reno erano divenute leggendarie. Agrippina stessa lo accompagnava in missione, con tutti i figli al seguito. Una volta, quando il marito era rimasto imbottigliato nelle retroguardie dei Germani, era stata Agrippina a incitare le legioni romane a piombare sul nemico e salvare Germanico. I due avevano raggiunto la selva di Teutoburgo e recuperato le insegne delle legioni di Varo, riportandole a Roma nella commozione generale. 

Tiberio si era reso ben presto conto che il nipote, allora trentenne, avrebbe potuto rappresentare un pericolo per il suo principato, quantomeno dal punto di vista dell’immagine. Lo allontanò da Roma, insieme alla moglie e ai figli, inviandolo in missioni sempre più lontane. Nel 19 a.C. gli conferì l’incarico di organizzare una grande spedizione contro i Parti. Germanico però, raggiunta Antiochia, ospite del governatore Pisone, fedelissimo di Tiberio, si ammalò misteriosamente: dopo giorni di febbre altissima, morì. Quando la notizia raggiunse Roma, Tiberio si mostrò, in senato, quasi impassibile, mentre l’urbe era sconvolta dal dolore. Agrippina riportò a Roma le ceneri del marito e in un giorno di pioggia battente dell’ottobre del 19 d.C. si svolsero, nella commozione generale, i suoi funerali. Tiberio fece capire ad Agrippina che sarebbe stato gradito un suo allontanamento da Roma: così l’ultima nipote di Augusto si esiliò a Capri, ma Tiberio gli tolse i tre figli maschi, che tenne con sé a Roma per educarli secondo le sue direttive. Ad Agrippina rimasero le tre figlie femmine, tra le quali Agrippina minore che Tiberio avrebbe fatto sposare, appena quattordicenne, ad un cugino, Gneo Domizio Enobarbo, figlio di Lucio e di Antonia minore figlia di Ottavia.

Sempre in quegli anni un’altra situazione familiare affliggeva Tiberio. Il suo unico figlio, Druso minore, era stato fatto sposare, ovviamente da Augusto, con la cugina Claudia Livilla, terzogenita di Druso maggiore e Antonia maggiore, e sorella, appunto di Germanico e Claudio. Claudia Livilla era al suo secondo matrimonio, perché era già stata fatta sposare, adolescente, con il figlio di Agrippa e Giulia, Gaio Cesare, che era morto giovanissimo. Livilla non amava Druso, a cui aveva pur dato una figlia, Giulia Livilla, e due gemelli, Tiberio gemello e Germanico gemello, quest’ultimo morto per un banale incidente a 4 anni, nel 23.

Nel cuore di Claudia Livilla si era insinuato un giovane ambizioso e potente, Publio Elio Seiano: era il prefetto dei soldati pretoriani, la guardia del corpo dell’imperatore e mirava a farsi nominare figlio adottivo di Tiberio, per prendere il suo posto. Insieme a Claudia Livilla tramò, sempre in quello sciagurato anno 23 d.C., per avvelenare Druso: il figlio di Tiberio si ammalò così anche lui misteriosamente e in poche settimane morì. 

Nei dieci anni che vanno dalla morte di Druso al 33 d.C., Seiano approfittò sempre più della latitanza al potere di Tiberio, quasi settantenne, che si era ritirato a vivere in una sua villa a Capri. Il suo piano per sbarazzarsi dei possibili eredi alla carica di princeps continuava: nel 31, con false accuse, fece rinchiudere in carcere il figlio maggiore di Germanico e Agrippina, Nerone Cesare, neanche ventenne, e lo costrinse al suicidio. La stessa sorte toccò, all’inizio del 33, al fratello Druso Cesare e alla madre, Agrippina: entrambi morirono a pochi giorni di distanza, in circostanze poco chiare. Proprio Tiberio, tuttavia, aveva preso con sé già da qualche anno l’ultimo figlio maschio di Germanico, Gaio Cesare, e lo stava crescendo, a Capri, tra violenze e vizi. Morti tutti i possibili successori, Tiberio lo nominò princeps. Seiano, così, decise di ordire una congiura contro l’imperatore. Pochi giorni prima dell’agguato, però, un delatore informò Tiberio. Seiano fu catturato, imprigionato e ucciso, e con lui Claudia Livilla.

Tiberio, amareggiato, stanco e demotivato, si ritirò definitivamente nella villa caprese, con il nipote Gaio Cesare che, dall’abitudine di indossare una calzatura militare (caligula) particolarmente amata, aveva preso il soprannome di Caligola. 

I suoi provvedimenti, in oltre venti anni di principato, furono caratterizzati da moderazione e rispetto nei confronti del senato e delle aristocrazie senatorie romane. Non amava la scorta, rifiutava i titoli di imperator e di augustus. Non si fece promotore di opere pubbliche, ma si preoccupò con cura di rinsaldare i confini dell’impero, soprattutto verso i Germani. Negli ultimi anni attuò sempre più una politica di chiusura e conservazione. Promosse un rogo delle copie di un’opera storica del senatore Cremuzio Cordo, che rimpiangeva la respublica e definiva Bruto e Cassio “gli ultimi Romani”. 

Represse culti orientali e allontanò da Roma giudei e astrologi. Ridusse notevolmente le spese per giochi e spettacoli ed emise provvedimenti speciali per contenere il lusso. Contemporaneamente, nella villa di Capri, stando alle fonti storiografiche per molti aspetti avverse a questo personaggio, si abbandonava a feste e a banchetti. Per il vizio del vino, che lo caratterizzava, era soprannominato Biberius, “Biberio” (da bibo, “bevo”). In questo clima licenzioso era accompagnato, sempre, da Gaio Cesare ‘Caligola’, ormai ventenne. Ammalatosi alla fine del 36, dopo mesi di sofferenze, il 16 marzo del 37 d.C. Tiberio muore, a Capri. Secondo le voci, alimentate dal grande storico Tacito, proprio Caligola, o il fedele prefetto del pretorio Macrone, accelerarono la morte dell’anziano imperatore. In ogni caso, già ai primi di aprile, Gaio Cesare Caligola si presentò a Roma, in senato, e con un discorso sdegnoso si autoproclamò successore di Tiberio.

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